La campagna elettorale entra nel vivo e le forze politiche sbandierano promesse sui più svariati argomenti. Forse perché i giovani votano meno, mentre la fascia d’età dei lavoratori prossimi al pensionamento registra elevati tassi di partecipazione al voto e rappresenta un corposo bacino elettorale, le pensioni sembrano essere tra i temi più caldi del dibattito. Nella sua ultima fase, il governo uscente si è mostrato sufficientemente lungimirante da non cedere alle pressioni di chi, da fuori e da dentro, proponeva di rimandare l’aumento dell’età pensionabile a non meglio specificati tempi migliori. Paolo Gentiloni ha infatti firmato la legge di bilancio che prevede, tra le altre novità, l’adeguamento dell’età pensionabile alle aspettative di vita come previsto dalla normativa vigente. Contestualmente, forse anche per mediare tra le esigenze di bilancio e quelle elettorali, il governo ha trovato i fondi per escludere dall’adeguamento le categorie che svolgono lavori gravosi, introducendo una leggera ma sacrosanta differenziazione delle età pensionabili per queste tipologie di lavoratori. La norma prevede inoltre l’estensione della platea dell’Ape social e uno sconto sui requisiti per le donne con figli e i lavoratori precoci. Per esigenze di coerenza e credibilità, il Pd non propone per ora nessun cambio di rotta, limitandosi a promettere di proseguire sulla strada della flessibilità in uscita.
La controriforma del M5s. Luigi Di Maio, candidato premier del Movimento 5 Stelle, propone invece di abolire tutta la legge Fornero, aumentare le pensioni minime a 780 euro ed estendere la pensione anticipata a tutti coloro che abbiano maturato 41 anni di contributi, tornando dunque a requisiti ancora più favorevoli rispetto a quelli che vigevano prima della vituperata riforma del 2011. La popolarissima controriforma avverrebbe in due fasi: tagliando le pensioni d’oro, che a sua detta costerebbero allo stato italiano 12 miliardi l’anno, si finanzierebbe il ritorno ai vecchi requisiti per i lavori usuranti; mentre per le categorie di lavoratori residuali si agirebbe in una seconda fase, recuperando dai 50 miliardi di sprechi nel bilancio dello Stato. Sui 12 miliardi, il candidato premier si è mostrato molto sicuro, invitando un dubbioso giornalista a “controllare bene”, per poi essere fortemente contraddetto dal centro studi di Itinerari previdenziali, che ha spiegato che per ottenere un risparmio di 12 miliardi bisognerebbe eliminare del tutto gli assegni da 5 mila euro lordi in su. Tenendo conto che gli assegni non si possono certo azzerare, per ottenere un risparmio di 12 miliardi bisognerebbe tagliare drasticamente tutti quelli a partire dai 2.500 euro mensili, altro che pensioni d’oro. Difficile pensare che la Corte costituzionale possa ritenere la norma conforme ai “principi generali di ragionevolezza”. Quanto alla seconda cifra, ammesso e non concesso che sia corretta, se le recenti esperienze dei commissari alla spending review ci hanno insegnato qualcosa, è certamente che tra il quantificare gli sprechi ed eliminarli c’è una sostanziale differenza. Insomma, sulle pensioni Di Maio sembra essere molto sicuro sul cosa fare, meno sul come farlo.
Le proposte di Lega e Forza Italia. Matteo Salvini, oltre all’abolizione della Fornero, propone di introdurre la possibilità di andare in pensione per tutti coloro che abbiano raggiunto quota 100 con la somma di anzianità contributiva ed età anagrafica; e per i lavoratori che abbiano maturato 41 anni di contributi, a prescindere dall’età. Le coperture proposte dalla Lega, appena presentate, arriverebbero in gran parte dall’eliminazione delle salvaguardie e dell’Ape social, resi inutili dall’abrogazione della legge Fornero, e dallo sblocco del turnover dei disoccupati, per un totale di quasi 10 miliardi. Il restante verrebbe invece raccolto per 200 milioni dal taglio delle pensioni d’oro e per 4 miliardi da non meglio definiti tagli alle risorse per l’accoglienza dei migranti, per un totale di circa 14 miliardi. Senza entrare nel merito della fattibilità ed eticità dell’ultimo punto, le coperture proposte, comunque non sufficienti, proverrebbero per il 70 per cento dall’eliminazione delle norme tampone collegate alla legge Fornero e dallo sblocco del turnover, cioè dal venir meno di costi collaterali della riforma, già inclusi peraltro nelle stime del costo della sua abolizione. Difficile dunque definirle coperture.
Silvio Berlusconi, alla sua settima campagna elettorale, dopo aver ricordato con qualche licenza poetica i suoi passati interventi per le pensioni più basse e ventilato l’istituzione del “ministero della Terza età”, propone di innalzare le pensioni minime a mille euro per tutti, lorde o nette per ora non è dato sapere. Per quanto riguarda le coperture, l’ex premier per ora non si premura nemmeno di inventarsele, si limita a stimare il costo in 7 miliardi. Per valutare la correttezza delle stime e la fattibilità della proposta, occorre attendere i dettagli e le coperture, certo è che quei 7 miliardi sembrano pochi per una riforma così ambiziosa: secondo Il Foglio, ad esempio, costerebbe 20 miliardi nell’ipotesi più conservativa.
Va infine ricordato che, in un sistema contributivo, anticipare il pensionamento implica una riduzione dell’assegno spettante. Se si vuole evitare che gli assegni erogati scendano al di sotto di una soglia di adeguatezza, e se si pensa addirittura di aumentare contestualmente le pensioni minime, i costi diventano vertiginosi, impattando sul bilancio per molti anni a venire. Diventa dunque fondamentale definire coperture verosimili sullo stesso orizzonte temporale. Insomma, a sentire i programmi si prospettano tempi d’oro per i pensionati italiani, che sembrano essere in cima alle priorità delle opposizioni. Intanto, i giovani, aspettando proposte che li riguardino, invecchiano.
Simone Ferro