TORRE MILETO DELLA MIA INFANZIA, ULTIMA TAPPA: DA TORRE MILETO A SAN NICANDRO

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Il racconto inviato da Matteo Gioiosa all’amico Emanuele Petrucci

Eravamo tutti intenti a giocare sulla sabbia quando mio padre ci chiamò con una voce preoccupante: «Mattè, meh, m’nit subb’t qua k’ama part.» I tre teli erano già piegati e messi in un cesto; u trajìn era stato già collegato con il cavallo; le sedie arano tutte sistemate. Mancavamo solo noi. Un’altra chiamata di mio padre: «Uaggliù vulit m’nì o no? Forza, ca lu temb mm’naccia!! Occupammo gli stessi posti così come dalla partenza. Mia madre disse a mio padre: «M’ké vid bbon angora avess’ma rumanè quacche cosa.» «Mar’iè già aj dat n’occhiata- rispose mio Padre». A propos’t li furcin e li curtidd son stat tutt rr’cot? – questo lo disse la nonna. Rispose la mamma: «dop lavat e stuiat l’aj burrutat dind a lu sal’v’jett e l’aj mess dind a la borza grossa d’ pezza». «M’ché – disse la nonna al figlio – allora c’ n’ putim jì». Papà emise una esclamazione diretta a Ciccillo (il nome del cavallo): «Avand C’ccì» e Ciccillo ubbidì immediatamente. «Papà, chiesi, quanda temp c’ vò k rr’và a casa»? «Mattè, c’ vò u temb ka c’ vò!». La nonna disse: «mè uagliù (in questo uagliù rientravano anche i grandi, insomma tutta la comitiva che veniva trainato da Ciccillo) mo d’cim’c lu r’sarji, accuscì u temb passa cchiù subb’t». Con il senno di oggi la nonna recitava il rosario per riempire il tempo e non per la gloria del Signore e di sua madre Maria. Il rosario terminò alla salita d’ “P’razz”. «C’ccì, mo fa u brav, va’ chian ca semb tu l’ada fa ssa salita! Lu temb m’ sa ca mmett acqua. C’ facesse arr’và a casa” disse papà tirando di colpo le rendini per far capire a Ciccillo che doveva accelerare il passo. Infatti il cielo si era coperto e si vedevano nuvole nere che venivano da dietro di noi. Continuò mio padre: «Ecco perché i marus jev’n tropp gross, k’aveva fa mmal’temb». La nonna finito il rosario intonò il canto dei pellegrini che seguivano la processione del Crocifisso della Chiesa d’ Sand’Andonji per chiedere la grazia della pioggia a causa della siccita. Di quel canto ricordo solo il ritornello che si ripeteva dopo ogni strofa: «Madonna, fa fà l’acqua, senza tron e senza lamb, e mangh na grannanata!». Insomma i pellegrini volevano una pioggia “suala suala” (questo termine indicava una pioggia fitta e sottile che scende senza far danno alle piante). La nonna non ancora iniziava la terza strofe che il cielo diventò sempre più nero. Un lampo, seguito da un tuono forte e rumoroso, subito seguito da una successione di altri lampi e altri tuoni sempre più sonori. Incominciavamo a innervosirci per la paura “s’ ccadéva qualche lamb”. E dopo questa lunga serie di lampi e tuoni che ci accompagnava nel viaggio, iniziò una pioggia così veloce e abbondante che non ha dato tempo alla mamma e alla nonna di prendere i tre teli per coprirci alla meglio. Occorreva almeno un altro chilometro per arrivare alla «Pietra scritta». Siccome la pioggia non era «suala, suala», in un batter d’occhio c’ sim ngulandat tutti i rrobb ca t’nemm ngodd e c’ m’ttemm a tr’mà ca li dent stev’n quand c’ rumbev’n. Papà con la voce grossa si rivolgeva a Ciccillo perché camminasse più svelto, ma da Copp P’razz e fino alla Preta Scritta jeva, e angora jè, tutta salita. Disse la nonna al figlio.: «M’chè k vva’ truwann da ddu pov’r cavadd ca sta pur jiss ngulandat com’e nnuja». All’acqua non ci pensavamo più, jemm ssacres; ci incutevano paura i lampi scoppiettanti e i tuoni molto, ma molto rumorosi. Sembrava di trovarci in un campo di guerra con un nemico che lanciava bombe in continuazione. Arrivammo a la Preta Scritta. Mio padre: «C’ccì mo sta la discesa vid d sbrgart ca stam zuppa zuppa». Finalmente arrivammo a casa e trovammo la strada tutta piena di fango. Scendemmo dal carretto ed entrammo subito in casa. La mamma ci diede degli abiti da indossare per asciugarci da tutta quell’acqua. Tutta la comitiva prese un raffreddore che lo portammo fino a due giorni prima del ferragosto. Disse mia nonna: «Madonna c’ l’ama r’curdà sta gita a Sand Lazzar e a Torre Mileto. E min, e min quand’acqua e quand’acqua!! vurrija v’dè quanda c’stern fuss’n jénd!» Mamma Celè disse in quella occasione: «Madonna c’ l’ama r’curdà sta gita a Sand Lazzar e a Torre Mileto». Cara nonna hai pronosticato bene: tuo nipote non solo non ha dimenticato l’avventura, ma l’ha pure scritta per farla leggere al popolo di FB. Col senno di oggi scopriamo i significati di questi due termini dialettali: “ngulandat” e “zuppa, zuppa”. In altri termini dicono la stessa cosa, ma entrambi dicono cose pertinenti ai due termini. “Ngulandat” vuol dire bagnato anche di dietro, “zuppa zuppa” bagnato come un biscotto in un cappuccino. I nostri avi, pur non avendo frequentato scuole, riuscivano a creare una terminologia idonea a far capire certe azioni che l’uomo compie o subisce. Per chiudere questa mia esperienza infantile di mare vorrei prendere in prestito una famosa frase dialettale che alcuni la ripetevano dopo ogni pensiero espresso: “M’avit capit mo??!!!» … e colui al quale questa frase era diretta, (in questo caso ogni lettore di FB), rispondeva (a la sfottente!) con un: “Come no!?”

Foto tratta dal Volume 4° de “LE BELLE IMMAGINI DI SAN NICANDRO GARGANICO” di Emanuele Petrucci

Matteo Gioiosa