A partire dal 2014, l’Italia è stata meta di un flusso di profughi, giunti prevalentemente via mare dalle coste libiche, nettamente più cospicuo di quello registrato in passato: circa 170 mila nel 2014, 154 mila nel 2015 e 181 mila nel 2016. Lo straniero che presenta la domanda d’asilo in Italia ha diritto, in base alla normativa europea, all’accoglienza fino a che sulla domanda non sia stata adottata una decisione. In Italia, il costo dell’accoglienza è di circa 35 euro al giorno pro capite.
Il regolamento di Dublino assegna in genere l’onere dell’accoglienza allo stato membro di primo ingresso e penalizza quindi gli stati che, come l’Italia, hanno frontiere esterne direttamente esposte al flusso. Per evitare che questi stati favoriscano movimenti secondari clandestini dei profughi verso altri stati membri, l’Unione Europea ha imposto quindi la creazione di centri di identificazione in cui operano funzionari Ue, attenti che ogni profugo sia registrato nel paese di sbarco. In questo modo, nel 2016, il numero delle domande di asilo presentate in Italia è cresciuto decisamente (circa 123 mila, quasi il doppio di quelle presentate nel 2014). Con esso sono aumentati anche il tempo medio di attesa della decisione sulla domanda (arrivato a circa un anno per ogni grado di decisione) e gli oneri per lo stato: e anche nel caso in cui i richiedenti asilo del 2016 si accontentassero della decisione di primo grado, il costo complessivo per la loro accoglienza supererebbe il miliardo e mezzo di euro. D’altra parte, l’esame delle domande non produce affatto una decimazione dei richiedenti: il tasso di accoglimento ha superato il 60 per cento nel 2014, e si è attestato intorno al 40 per cento nel 2015 e nel 2016.
Se gli oneri per l’erario sono principalmente dovuti al protrarsi della procedura di esame della domanda, il politico intelligente dovrebbe chiedersi se non sia opportuno accordare da subito un permesso di soggiorno a tutti coloro che sbarcano (o almeno a quanti si adoperano per partecipare a corsi di lingua e di formazione), autorizzandoli a entrare legalmente nel mercato del lavoro. Di un regime analogo fruiscono per legge i cittadini Ue, e di fatto i cittadini di paesi extra-UE che, entrati per turismo, si trattengono in Italia lavorando, in attesa di beneficiare di una sanatoria o di un nulla-osta al lavoro nell’ambito del decreto flussi. A favore di una linea di maggior apertura militerebbero, tra le altre, le considerazioni svolte da Tito Boeri anche se il presidente dell’Inps non ha ovviamente fatto una proposta come quella indicata qui sopra, ma si è limitato a sollecitare meccanismi che permettano di allargare il numero degli immigrati regolari.
Le istituzioni italiane ed europee, però, sembrano sorde a questi argomenti e continuano ad additare come minaccia intollerabile per il cittadino europeo i cosiddetti migranti economici – quelli, cioè, destinati a veder rigettata la richiesta d’asilo. L’unica via per la riduzione dei costi resta allora la riduzione del flusso di profughi. Per non porsi esplicitamente in contrasto con gli appelli di Papa Francesco, la strategia viene presentata come se avesse un solo obiettivo: contrastare i trafficanti. Si glissa sul fatto che i trafficanti operano solo perché gli Stati membri Ue non hanno offerto ai profughi alcun corridoio umanitario alternativo.
Nelle ultime settimane, il governo italiano, col plauso della Ue, ha sostanzialmente vietato alle Ong che cooperavano al salvataggio in mare dei profughi di spingersi troppo a ridosso delle coste libiche e ha rafforzato gli strumenti in mano all’autorità di Tripoli per controllare partenze dalla costa libica e soccorsi in mare nelle proprie acque territoriali (e non solo). Il risultato esalta i nostri governanti: a fronte di un aumento di quasi il 20 per cento degli sbarchi nei primi sei mesi del 2017 rispetto allo stesso periodo del 2016, il flusso si è praticamente arrestato nell’ultimo mese: dai 21 mila arrivi dell’agosto 2016 si è scesi ai 3 mila circa dell’agosto 2017. La guardia costiera dell’autorità di Tripoli, sostenuta tecnicamente dall’Italia, ha riportato in Libia la maggior parte di quelli che erano comunque riusciti a imbarcarsi, non esitando a minacciare con le armi le navi delle Ong che risultassero di intralcio.
Molto meno esaltante è però il quadro dal punto di vista del diritto. La diminuzione del flusso non è infatti selettiva: colpisce nello stesso modo i titolari del diritto d’asilo e i migranti economici. Gloriarsene equivale a riconoscere che al diritto d’asilo l’Italia e la Ue non sono minimamente interessate. Affermare poi che in questo modo si riducono drasticamente anche i naufragi non tiene conto dei rischi per la vita a cui gli stranieri respinti – quanto meno quelli che avrebbero visto riconosciuto il diritto alla protezione – saranno restituiti.
Si ovvierà a questo spostando in Africa l’esame delle domande di asilo e lasciando che i soli titolari del diritto alla protezione raggiungano l’Europa? Teoricamente, è possibile. Ma è assai improbabile che la Ue possa garantire allo stesso tempo procedure di riconoscimento rapide ed eque in Africa se non riesce a farlo sul proprio territorio.
Sergio Briguglio