SIAMO UN PAESE CHE NON PREMIA L’ISTRUZIONE

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All’inizio di ogni anno scolastico ricompare con regolarità sui giornali la domanda se valga davvero la pena andare a scuola, dal punto di vista delle future opportunità sul mercato del lavoro. Premesso che non riteniamo che i benefici della maggior istruzione possano essere misurati esclusivamente in termini monetari, la nostra risposta da economisti a questa domanda non può che essere affermativa: in Italia chi è in possesso di titoli di studio più elevati ha maggiori opportunità occupazionali e guadagna di più.

Quanto rende l’istruzione in Italia? Per motivare la nostra risposta alla domanda, abbiamo utilizzato i dati dell’indagine biennale condotta dalla Banca d’Italia sui bilanci delle famiglie italiane selezionando la popolazione adulta tra 25 e 65 anni. Per ciascun intervistato si hanno informazioni circa il titolo di studio posseduto, la condizione occupazionale, il reddito da lavoro e (sotto ipotesi appropriate) il reddito complessivo. Utilizzando l’analisi multivariata (che tiene conto delle differenze sistematiche dovute a genere, età e luogo di nascita), possiamo misurare le differenze occupazionali e reddituali associate al possesso dei diversi titoli di studio, per ciascun anno d’indagine.

I risultati riportano la stima della differenza di reddito tra un individuo in possesso di un dato titolo di studio e un individuo senza alcun titolo di studio. Dalla loro lettura emerge che il possesso del diploma di terza media è associato a un reddito medio complessivo superiore del 50 per cento a quello percepito da chi è senza alcun titolo di studio, mentre il possesso di un diploma di maturità è associato ad una differenza media del 100 per cento, anche se la stessa è andata riducendosi in anni più recenti. Per quel che riguarda invece la differenza tra diploma di maturità e laurea triennale, i dati non danno supporto all’opinione secondo cui i laureati triennali avrebbero sostituito i diplomati. Vi è infatti un differenziale di rendimento positivo e statisticamente significativo in tutto il periodo 2002-2014 (si annulla invece nell’ultima rilevazione del 2016, ma non è sufficiente per sostenere l’assenza di rendimenti aggiuntivi).

La riforma del 3+2. Lo stesso tipo di analisi ci permette anche di raccogliere informazioni sull’effetto della cosiddetta riforma del 3+2, che a partire dal 1999 ha differenziato il percorso universitario tra lauree triennali e lauree specialistiche (poi divenute magistrali). Le lauree triennali (e vecchi diplomi di laurea) e lauree specialistiche (lauree quadriennali del vecchio ordinamento) fino al 2012 assicuravano guadagni retributivi molto simili, ma una volta che il sistema è andato a regime i rendimenti si sono sostanzialmente differenziati. Al contrario, la differenziazione tra lauree specialistiche/magistrali e titoli post-laurea rimane significativa solo fino al 2006, ma scompare (dal punto di vista statistico) nelle indagini successive. Infine, dall’altro lato della distribuzione dei titoli scolastici, è interessante notare come la differenza tra il conseguimento di un diploma professionale bi-triennale di scuola secondaria di secondo grado mantenga una differenza (statisticamente significativa) rispetto al conseguimento del solo diploma di scuola media, a riprova che per gli adolescenti rimane conveniente proseguire almeno fino al completamento dell’obbligo scolastico, attualmente posto a 16 anni.

Se si effettua lo stesso esercizio in riferimento alla probabilità di impiego si riscontra che al possesso di titoli di studio più elevati è di solito associato un vantaggio occupazionale. Fanno eccezione le lauree triennali (e diplomi di laurea) che per un breve periodo hanno assicurato un guadagno occupazionale addirittura superiore a quello delle lauree tradizionali e/o delle lauree specialistiche. Allo stesso modo i titoli post laurea per cui il vantaggio occupazionale rispetto ai laureati magistrali sembra inesistente a partire dal 2004.

E negli altri paesi Ocse? In Italia l’istruzione rende, ma meno rispetto agli altri paesi Ocse. Sorprendentemente i differenziali di rendimento tra diversi titoli di studio sono rimasti piuttosto stabili nel corso degli ultimi 25 anni (dal 1993 al 2016), nonostante i profondi cambiamenti che hanno caratterizzato l’economia del nostro paese. Inoltre, a differenza di quanto si osserva altrove (per esempio, Stati Uniti, si veda Acemoglu e Autor, 2011), il rendimento non tende ad aumentare al crescere del livello di istruzione. Addirittura, coloro che hanno conseguito un titolo di studio post laurea non godono di un rendimento aggiuntivo rispetto ai laureati indicando che il mercato del lavoro italiano è incapace di assorbire e premiare i livelli più elevati di qualificazione.

Daniele Checchi e Maria De Paola