SAN NICANDRO: “LA JADDINA C’ SPENNA QUANN’ E’ MORTA”

0
595

Continua una nuova serie di articoli che parlano sui modi di dire e degli aforismi locali per capire e analizzare la quo ed offrire una visione chiara, lucida e trasparente della condizione umana in cui ognuno di noi può legittimamente dedurre o trarre da ciascuno di essi le considerazioni che gli sembrano più ovvie in riferimento ai tempi, alle usanze, ai problemi, ai comportamenti e agli altalenanti rivolgimenti che la società sta attualmente vivendo. Gli articoli sono tratti dal libro “Voci di Capitanata” di Donato D’Amico.

Il detto di oggi è: “La jaddina c’ spenna quann’ è morta” cioè “La gallina si spenna quando è morta”.

La cupidigia. L’avidità, il desiderio di possesso costituiscono senz’altro una piccola fetta di dimensione umana. Oggi, probabilmente per effetto di un capovolgimento di valori. Questo smodato desiderio di denaro ha invaso anche la coscienza di uomini della cui integrità giammai avremmo dubitato. Questa brama smaniosa e irragionevole di divenire padrone e signore di un certo complesso di beni (denaro, proprietà), del quale si potrebbe disporre grazie ad una onesta attività di lavoro o per via di una fortunata successione, sta diventando una frenesia comune, sta dilagando a macchia d’olio, sta invadendo anche la coscienza dei migliori. Il grosso rischio al quale andiamo incontro è la contaminazione di ideali e coscienze per un feticcio (il denaro) in nome e per conto del quale l’umanità corrotta continua a commettere esecrandi delitti.

Potremmo dilungarci a parlare di capricci o di delirio di possesso, ma sempre ci troveremmo di fronte ad una dimensione patologica dell’essere umano, la cui guarigione richiederebbe la riaffermazione di quei valori e di quegli ideali (rispetto, solidarietà, amore, ecc..) che tutte le religioni monoteiste della terra (da quella cristiana a quella ebraica a quella musulmana) hanno sempre affermato e divulgato.

La società del benessere abituata a spendere e a spandere a profusione, l’irrefrenabile attivismo dei giovani giustamente preoccupati per un posto di lavoro, la sfida della “malavita” a quanto di buono e onesto permane ancora, nonostante lo smarrimento e lo sconvolgimento di tali coscienze, non consentono sicuramente di percorrere, con animo sereno, un itinerario che ci riporti a vivere una dimensione più a misura d’uomo, fatta certamente anche di debolezze, ma soprattutto di idealità, di sentimenti nobili, di pensieri elevati. E tuttavia bisogna provarci, cominciando a far capire a chi di dovere che il godimento di un diritto, che una persona ha per la sua conquista personale o potrebbe ricevere da altri, è moralmente legittimo se viene esercitata consapevolmente, a tempo opportuno e nei modi consentiti dalla legge. Perciò, ogni intempestiva ingerenza nel controsenso delle garanzie che la legge e la morale prevedono per ciascun essere umano è sicuramente un atto sconveniente.

In proposito, desideriamo concludere questa breve riflessione esprimendo chiaramente il nostro pensiero. Noi riteniamo che ogni indebita pressione esercitata per ottenere un eventuale patrimonio di beni o lasciti di qualsiasi natura sia un’azione riprovevole o condannabile e per ciò stesso (a parte l’aspetto penale della questione) non degna di una persona moralmente irreprensibile. Tanto più perché è opinione comune che dietro ogni forzatura si nasconde di solito un fine illecito, perché l’atto di espoliazione (di questo si tratta) non si concilia affatto con la umanità dell’uomo, i cui attributi sono la generosità, l’altruismo, la benevolenza, l’amore e il sentimento della fratellanza.