FINIRANNO I PARLAMENTI?

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Hanno fatto discutere le dichiarazioni di Davide Casaleggio sul destino dei Parlamenti. In un’intervista a “La Verità”, il figlio del co-fondatore del Movimento 5 stelle ha infatti dichiarato: “Il Parlamento ci sarebbe e ci sarebbe con il suo primitivo e più alto compito: garantire che il volere dei cittadini venga tradotto in atti concreti e coerenti. Tra qualche lustro è possibile che non sarà più necessario nemmeno in questa forma»”. Le reazioni a queste dichiarazioni sono state generalmente critiche, passando dallo scandalizzato alla semplice provocazione. Eppure, almeno dal punto di vista della teoria economico-politica, il tema appare interessante, nient’affatto scontato e merita certamente qualche riflessione in più della semplice liquidazione con una battuta. Tanto che il ministro Riccardo Fraccaro ha presentato in questi giorni un progetto di riforma costituzionale che tocca proprio gli istituti di democrazia diretta (tra le altre cose, eliminazione di quorum e introduzione di referendum consultivi).

Quali sono dunque gli spazi che si devono ritagliare democrazia diretta e democrazia rappresentativa in un mondo in cui le decisioni richiedono velocità, in cui le informazioni e la scolarizzazione sono sempre più diffuse ma, allo stesso modo, anche la manipolazione delle informazioni stesse appare più semplice?

Democrazia diretta e democrazia rappresentativa. Nell’ambito della teoria delle scelte collettive, c’è poca battaglia: è impossibile aggregare perfettamente le preferenze individuali (Teorema dell’impossibilità di Arrow); tuttavia, ingoiando qualche rospo (vota solo chi ha preferenze razionali e unimodali, quindi regolari), l’elettore mediano la fa da padrone in democrazia diretta e la sua scelta massimizza il benessere collettivo.

Più difficile che lo stesso risultato sia ottenuto con tutte le distorsioni indotte dalla democrazia rappresentativa: le preferenze dell’elettore mediano potrebbero non essere perfettamente rappresentate in Parlamento e, specialmente nei sistemi elettorali proporzionali, la necessità di coalizioni allontana la scelta pubblica da quella mediana. Ed è indubbio che i meccanismi di delega (in politica, ma non solo) creano innumerevoli problemi di asimmetria informativa e di compatibilità con gli incentivi, che solo un adeguato – e non sempre realizzato – meccanismo di incentivi può curare. Ma allora perché i Parlamenti esistono, verrebbe da chiedersi? Ovviamente perché non è pensabile che tutte le decisioni necessarie siano prese sempre da tutti i cittadini, o perlomeno dalla loro maggioranza, sia per una questione di tempo sia per una di conoscenze. Del resto, chi di noi sinceramente non vede l’ora di recarsi a esercitare il suo diritto alla democrazia diretta in un’assemblea di condominio? Inoltre, tradizionalmente il sistema partitico ha fornito un meccanismo di selezione della classe dirigente che avrebbe dovuto portare a correre per le elezioni (nazionali ma anche locali) le capacità migliori della società (e del resto la Costituzione li riconosce quasi come unica modalità di concorso “con metodo democratico a determinare la politica nazionale”). In conclusione, non esiste paese democratico in cui le decisioni non spettino a un Parlamento di eletti: le poche alternative vanno infatti nella direzioni di potere maggiormente concentrato (dittature, monarchie, oligarchie).

La domanda è quella giusta? Ha forse più senso quindi, anziché mettere in competizione i due metodi democratici, discutere di come si possano intrecciare per migliorare la qualità e l’efficienza delle decisioni pubbliche. Quali sono gli strumenti esistenti oggi di democrazia diretta? La Costituzione riconosce al momento il referendum abrogativo, quello confermativo di riforma costituzionale, nonché la possibilità di iniziativa legislativa popolare. E tutto ciò con determinati limiti (il quorum, le materie, le firme, etc.). Maggiori possibilità sono riconosciute dalla legge a livello di governo inferiore: referendum consultivi e propositivi e bilanci partecipativi, per esempio. Il tentativo in atto di portare questi meccanismi all’interno della Costituzione sembra più velleitario che reale: tuttavia, aumentare la partecipazione dei cittadini è sempre auspicabile.  A patto che aumentino anche la consapevolezza dei meccanismi di scelta nonché quella della responsabilità delle stesse.

Paolo Balduzzi