SULL’ACCOGLIENZA DEI MIGRANTI QUALCOSA E’ CAMBIATO. MA POCO

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Stessa politica migratoria per due esecutivi. Il 2 novembre il Memorandum Italia-Libia firmato dall’allora ministro dell’Interno Marco Minniti nel febbraio 2017 è stato tacitamente rinnovato. Nel frattempo, la guerra civile che già infuriava nel paese nordafricano si è aggravata, le violenze nei confronti dei migranti sono state più volte documentate, la commistione tra milizie locali e Guardia costiera libica è emersa in tutta la sua gravità, come pure il coinvolgimento delle autorità italiane nell’opaca gestione della partita. Ancora nei giorni scorsi Luigi Di Maio, come prima di lui Salvini e prima ancora Minniti, ha vantato il successo dell’accordo in termini di riduzione degli sbarchi (e quindi secondo lui delle morti in mare, anche se il dato è meno verificabile): 8.395 a fine settembre, con i mesi invernali davanti, contro 23.370 a fine 2018. Nessun cenno a quello che accade nel deserto, in Niger o in Libia, prima che i migranti possano prendere il mare. Nessun cenno al diritto di asilo, di fatto negato alla radice.

Qualche voce si è levata per chiedere la revisione di alcuni punti particolarmente controversi, come la detenzione dei migranti in condizioni disumane in Libia. Una commissione congiunta italo-libica dovrebbe riunirsi per lavorare alla revisione del testo. Stando a Di Maio, soprattutto per quanto riguarda il trattamento dei migranti in Libia. Incertezze e differenze di vedute tra i partner governativi probabilmente produrranno soltanto miglioramenti marginali, ammesso che i libici li accettino e siano in grado di attuarli. Sarà difficile avere di fronte interlocutori affidabili, in un paese dilaniato dalla guerra civile.

Se così fosse, sarebbe la certificazione della continuità tra le politiche migratorie dell’attuale esecutivo con quelle del precedente. Del resto, finora nulla di sostanziale è stato modificato: né i decreti sicurezza con la quasi abrogazione della protezione umanitaria, né la riduzione della protezione offerta ai richiedenti asilo, né il bando nei confronti delle Ong impegnate nei salvataggi in mare. Non è stata annunciata nessuna iniziativa governativa di riforma della legge sulla cittadinanza, né di adesione (pur tardiva) ai due Compact dell’Onu, quello sui migranti e quello sui rifugiati, che non avrebbero grandi effetti pratici, ma se non altro potrebbero ricongiungere idealmente l’Italia al concerto dei partner europei.

Novità e buone notizie. L’unica novità di un certo rilievo riguarda il pre-accordo di Malta con Francia e Germania per la ricollocazione di una parte dei migranti salvati in mare, però non quelli che arrivano spontaneamente e rappresentano, negli ultimi tempi, nove casi su dieci. È stata una vittoria del metodo del dialogo, ma non è stata seguita da una revisione più profonda delle convenzioni di Dublino. Anzi, è stata successivamente sconfessata dal nostro ministro degli Esteri Di Maio che insieme al ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, ha sbandierato in conferenza stampa la lista dei 13 paesi sicuri approvata per decreto, che mira a espellere più rapidamente chi proviene da quei paesi, anche se in questa delicata materia gli annunci fanno sempre fatica a tradursi in effettive realizzazioni.

Proprio l’atteggiamento del Movimento 5 stelle è decisivo sul tema: Di Maio non perde occasione per rivendicare la continuità con il governo precedente, e Giuseppe Conte segue a ruota. Il leader pentastellato dà l’impressione di crederci davvero, di essere sostanzialmente allineato con il vecchio partner Matteo Salvini, ribadendo una coerenza con le accuse alle Ong lanciate ben prima delle ultime elezioni e mai smentite. In perfetto stile grillino, all’epoca insinuava un collegamento tra i salvataggi in mare e la gestione mafiosa dell’accoglienza a terra. Neppure Recep Erdogan o Viktor Orban si sono mai spinti così lontano, pur perseguitando con pertinacia le organizzazioni umanitarie.

Il Pd e forse altri pezzi della composita coalizione la pensano diversamente, ma appaiono paralizzati dalla paura di regalare altri voti a Salvini e di mettere in pericolo la fragile tenuta della maggioranza di governo.

Due buone notizie tuttavia si possono cogliere. La prima riguarda l’apertura dei porti a qualche nave delle Ong e al loro dolente carico umano, come l’Ocean Viking lasciata 11 giorni in un mare ormai autunnale, donne e bambini compresi, in attesa delle elezioni in Umbria. Con la consueta sensibilità umana, Salvini ha subito parlato del ritorno della “pacchia delle Ong”, seguito dal rumoroso coro della stampa guadagnata alla causa sovranista. Qualche giorno dopo è arrivata un’altra nave, la Alan Kurdi. Entrambe, finalmente, hanno potuto attraccare, senza temere i sequestri e le accuse della tristemente nota procura di Catania: quella che nelle sue svariate inchieste sulle organizzazioni non governative ha incassato una serie impressionante di sonore sconfitte.

L’altra buona notizia si situa nel dominio della retorica pubblica. Consiste nell’abbassamento dei toni, nel quasi completo silenzio sulle questioni dell’asilo e dell’immigrazione da parte della nuova ministra dell’Interno. Non abbiamo più un governo che ogni giorno parla di invasione e di minacce esiziali per la sicurezza e la sovranità nazionale a causa dello sbarco di qualche decina di persone di origine africana. Non è molto, ma probabilmente in questa fase politica è già qualcosa. (lavoce)

Mario Ambrosini