Le prove nazionali Invalsi 2023 indicano che sugli apprendimenti degli studenti pesano ancora i ritardi accumulati nei periodi di chiusura delle scuole per Covid. Aumentano i divari tra Nord e Sud e per la prima volta peggiorano i risultati delle primarie.
I divari territoriali crescono
Il 12 luglio l’Invalsi ha presentato gli esiti delle prove nazionali svolte nella primavera 2023. Raccontano una storia tristemente nota: pochissime note positive (un miglioramento complessivo in inglese e una lievissima riduzione della dispersione implicita) e la conferma invece di risultati estremamente preoccupanti al termine dei tredici anni di istruzione, insieme a un allarme per fragilità e divari territoriali che si manifestano già dai primi anni della primaria.
L’effetto del Covid sugli apprendimenti non accenna a diminuire. Come hanno riportato tutti i quotidiani, il 49 per cento degli studenti in uscita dalla scuola superiore non raggiunge il livello di comprensione di un testo ritenuto accettabile dalle Indicazioni nazionali. Nel 2019 erano “solo” il 36 per cento. E sono sempre più accentuate le differenze tra Nord e Sud. Nel Meridione e Isole non arriva al livello minimo in italiano il 61 per cento degli studenti e in matematica il 65 per cento.
Ovviamente, il tema dei divari territoriali non è di facile soluzione (come già scrivevamo qui): in un sistema di istruzione con regole largamente unitarie a livello nazionale (stessi sistemi di reclutamento e formazione degli insegnanti e dirigenti, sistemi di incentivi uniformi, indicazioni curriculari e quadri orari sostanzialmente identici) non è facile spiegare l’aumento delle differenze territoriali. Una pista è guardare al capitale sociale: così come il sistema d’istruzione formale può aumentare i livelli di capitale sociale e di coinvolgimento civico, è altrettanto plausibile che la qualità di un sistema educativo e la sua efficacia siano influenzate dal capitale sociale nel contesto di riferimento. Al Sud e nelle Isole è più basso: ad esempio, è possibile che le famiglie diano più rilievo al titolo di studio rispetto a ciò che viene veramente appreso. Va poi aggiunto che, come confermano i dati 2023, il Sud è caratterizzato da una maggiore iniquità: le differenze nei punteggi sono dovute, molto più che al Nord, non alle sole differenze fra gli individui, ma a differenze tra scuole e tra classi già alla primaria.
Il peggioramento delle primarie
Proprio il peggioramento anche nella scuola primaria è la novità negativa nei risultati Invalsi di quest’anno. E nelle regioni del Sud – in particolare Campania, Calabria e le due isole – i ritardi si sono manifestati già dal secondo anno.
Le scuole primarie hanno sempre rappresentato – e per il momento ancora rappresentano – il segmento più solido del nostro sistema scolastico. Ora però si registra un indebolimento dei risultati in tutte le discipline osservate e in entrambe le classi considerate, seconda e quinta.
In seconda primaria i risultati di italiano e di matematica sono inferiori rispetto al 2019 e al 2021 e, sostanzialmente, in linea con quelli del 2022. In quinta primaria, i risultati del 2023 sono più bassi di quelli degli anni precedenti in tutte le discipline, incluso l’inglese. Tuttavia, se guardiamo alle fasce di risultato, anziché ai punteggi medi, la situazione appare ancora più preoccupante: i bimbi di seconda che raggiungono almeno il livello “base” (la sufficienza) in italiano sono il 69 per cento – contro il 72 per cento dell’anno scorso – e in matematica il 64 per cento – contro il 70 per cento del 2022. In quinta il calo in italiano è ancora più netto: dall’80 al 74 per cento di alunni sopra il livello base. In Sicilia e Calabria gli allievi che raggiungono il livello base sono il 60 per cento in italiano e circa il 55 per cento in matematica.
Secondo il presidente Invalsi, Roberto Ricci, il calo delle primarie potrebbe essere ancora, almeno in parte, un effetto lungo del Covid. Gli studenti arrivati in quinta quest’anno sono infatti quelli che frequentavano la seconda nel 2020, quando è scattato il primo lockdown. Mentre sul risultato dei più piccoli potrebbe aver inciso il fatto che durante l’emergenza sanitaria si sia drasticamente ridotta la frequenza degli asili senza neanche poter fare ricorso alla didattica a distanza. Come molti studi internazionali dimostrano, la partecipazione alla scuola dell’infanzia dà un contributo di crescita sia cognitiva sia emotivo-relazionale da cui derivano gli esiti successivi, soprattutto per chi proviene da contesti sfavoriti. Un’opportunità che molti bambini non hanno più avuto durante l’emergenza sanitaria.
Le fragilità si manifestano presto e se non sono immediatamente recuperate tendono ad allargarsi esponenzialmente nel corso del ciclo scolastico e a diventare insanabili. Tuttavia, nemmeno le lezioni apprese durante il difficilissimo periodo di chiusura delle scuole sono bastate a spingere all’adozione di politiche diffuse e sistematiche di stimolo alla ripresa e al recupero degli apprendimenti. Dopo il lockdown, e nei due anni successivi, sono stati sperimentati con efficacia interventi di tutoraggio e di didattica che coniugano studio e gioco, così da aiutare a recuperare le competenze di base (italiano, matematica, ecc.) degli studenti più svantaggiati, ma il sistema d’istruzione italiano non ha mai davvero provato a generalizzarli.
Commentando il nuovo Rapporto Invalsi, il ministro Valditara ha dichiarato di ritenere «la frattura fra la scuola del Nord e del Sud moralmente inaccettabile» e ha individuato dieci interventi per le scuole a maggior rischio dispersione da realizzarsi con fondi Pnrr e Pon. Il piano dovrebbe partire con interventi in 240 scuole del Mezzogiorno, con una particolare attenzione alle elementari: più docenti in ogni istituto, il tempo pieno per tutti, una formazione specialistica per gli insegnanti, una retribuzione aggiuntiva per le attività extracurricolari che saranno chiamati a svolgere, coinvolgendo anche le famiglie. Speriamo che le dichiarazioni si trasformino in azioni e attendiamo di vedere i primi risultati il prossimo luglio. (lavoce)