SAN NICANDRO: “NU POCH’ P’ D’UN N’ FA MAL A N’SCIUN””

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Imprenditore: ecco la differenza tra business “poveri” e business “ricchi”

Continua una nuova serie di articoli che parlano sui modi di dire e degli aforismi locali per capire e analizzare la quo ed offrire una visione chiara, lucida e trasparente della condizione umana in cui ognuno di noi può legittimamente dedurre o trarre da ciascuno di essi le considerazioni che gli sembrano più ovvie in riferimento ai tempi, alle usanze, ai problemi, ai comportamenti e agli altalenanti rivolgimenti che la società sta attualmente vivendo. Gli articoli sono tratti dal libro “Voci di Capitanata” di Donato D’Amico.

Il detto di oggi è: “Nu poch’ p’ d’un n fa mal a n’sciun””, cioè “Un poco per ciascuno non fa male a nessuno”.

Il proverbio ribadisce chiaramente la supremazia dei concetti di giustizia e di equità i quali dovrebbero regolare sempre i rapporti tra gli uomini e tra questi e le istituzioni pubbliche. E sono concetti di oggi, con tutti i loro possibili sinonimi, si rincorrono con frequenza sulla bocca dei cittadini desiderosi soltanto di vivere nella certezza del diritto. Infatti, pensare di continuare a sfruttare, a proprio esclusivo vantaggio, possibilità ed occasioni di lavoro e di guadagno offerte, magari sottobanco, dai soliti “personaggi”, ci sembra una pretesa assurda. Pretesa che si scontra non solo con la più elementare logica della giustizia distributiva, ma anche con ogni principio etico, che ha sempre condannato coloro che hanno tratto profitto dal lavoro degli altri, sfruttandone la precaria situazione economica e sociale, vale a dire, il loro stato di bisogno di “povero cristiano” e la scarsa considerazione da essi goduta a livello sociale. Tanto, per il “povero” anche il salario da fame sarebbe stato un guadagno. Sono concetti meschini che oggi non trovano nessuna giustificazione, tanto meno una legittimazione.

La convivenza democratica fra i popoli della terra e il senso di solidarietà che sta invadendo le coscienze a livello planetario dovrebbero convincerci che i problemi di ciascuno di noi sono in qualche maniera i problemi di tutti gli altri, che la fame nel mondo non ha latitudini, che la salute pubblica è un bene universale, che l’assistenza non può dipendere dal colore della pelle, che tutti noi siamo fratelli. Per certuni si tratta solo di un discorso utopistico perché essi sostengono che il bene e il male, il giusto e l’ingiusto sono sempre esistiti e perciò non vale la pena di arrovellarsi tanto il cervello per situazioni che, alla fine, non ci riguardano poi tanti.

A nostro avviso, questa non è una ragione valida per non cambiare e perpetuare situazioni di comodo. Ci sembra piuttosto un misero e debolissimo alibi per continuare a perpetuare a dalla del più debole, cioè, di colui che non ha coperture né protezioni altolocate. Noi desideriamo ed auspichiamo soltanto una compartecipazione alle iniziative e la condivisione dei beni nel segno di una ritrovata fratellanza e di uno spirito di pace e di progresso per tutti. Il che significa semplicemente dare l’ostracismo ad ogni forma di sfruttamento dell’uomo sull’uomo.

In altri termini, c’è bisogno di un ridimensionamento dei rapporti all’interno della società, ma soprattutto c’ è bisogno di un lavoro onesto e pulito. Occorrono, cioè, offerte leali, prestazioni qualificate, compensi adeguati, guadagni leciti e, non ultimi, premi incentivanti e ricompense psicologiche; tutto questo varrò sicuramente a ricomporre quella indispensabile trama di rapporti sulla quale la convivenza umana ha sempre affondato le radici. Non vuole essere questa una “ricetta” ai mali che affliggono il nostro Paese, ma solo una modesta riflessione scaturita dalla nostra esperienza; la quale ci ha insegnato che il bene primario risiede nel lavoro, che è insieme libertà, giustizia, preghiera: un trinomio che all’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio, restituisce condizioni decorose, fierezza di comportamento, orgoglio dei propri meriti, onore e dignità personali.