SAN NICANDRO, L’EX CONVENTO ALL’INIZIO DEL ‘900

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Silvio Petrucci, sempre nella sua “Alba Novecento”, ha parlato anche dell’ex convento di Piazza IV Novembre e scriveva che l’ex convento dei Cappuccini, benchè adattato ad edificio scolastico, conservava ancora molte tracce della struttura architettonica e della destinazione sacra di un tempo, con la chiesa che, adeguatamente conservata, era ancora aperta al culto e l’annesso cimitero dei frati che mostrava, invece, troppi segni di decretipezza, di progressiva rovina, oltre che di deplorevole abbandono.

Dalla grata di un finestrone di leggiadrissima linea barocca, alla quale si arrampicavano curiosi, il cimiterino appariva con le nicchie screpolate, le tombe scoperchiate, qualche brano di affresco sbiadito e muri e pavimenti ricoperti di ortiche e di lucertole.

In verità, non sembra di essere in un camposanto ma in un giardino di fate; un rettangolo di terra tutti ad aiuole e ai lati quattro pareti di arcatelle con storie dipinte nei vani. Una luce blanda filtrava nel vuoto attraverso i tralci dei rampicanti e vi si raccoglieva come un liquido d’oro in un vaso di alabastro. Lungo i coppi del cornicione le rondini avevano fatto i loro nidi e di incrociavano ebbre di gioia su quel gran silenzio. “Morire e dormire lì dentro per sempre non doveva essere brutto…”.

Ma dietro al cimiterino, come una festosa rissa di rondini, esplodeva, invece, almeno per un’ora al giorno, la più spensierata letizia infantile. Il vecchio orto, giardino del Convento, infatti, spoglio di alberi e di piante, se era trasformato in una palestra adibita alla ricreazione degli scolari che lì si sfrenavano, all’aria aperta, con la vista della campagna vicina e del mare e del lago lontani, in giochi indiavolati; nel mezzo, superstite solitario, un altissimo cipresso, diritto, serviva ad addestrare i ragazzi per le arrampicate alle pertiche.

Al su ingresso principale, il Convento ci accoglieva con il suo bel cortile-chiostro ancora intatto, con un pozzo nel mezzo e un porticato torno torno, dal quale si accedeva al salone refettorio, anch’esso intatto e, sul piano superiore, alle celle ampliate e trasformate in aule scolastiche. Nelle ore silenziose di lezione, percorrendo i corridoi, si aveva l’impressione che vi aleggiassero ancora gli spiriti monacali di secoli lontani, ma a scacciarli, in un impeto di allegria prorompente dalle aule, provvedevano i più allettanti dei nostri sogni infantili.