SAN NICANDRO: “I PANN’ SPORCH’ C’ LAV’N N’CASA”

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Continua una nuova serie di articoli che parlano sui modi di dire e degli aforismi locali per capire e analizzare la quo ed offrire una visione chiara, lucida e trasparente della condizione umana in cui ognuno di noi può legittimamente dedurre o trarre da ciascuno di essi le considerazioni che gli sembrano più ovvie in riferimento ai tempi, alle usanze, ai problemi, ai comportamenti e agli altalenanti rivolgimenti che la società sta attualmente vivendo. Gli articoli sono tratti dal libro “Voci di Capitanata” di Donato D’Amico.

Il detto di oggi è: “I pann’ sporch’ c’ lav’n n’casa”, cioè “I panni sporchi si lavano in casa”.

Tutti coloro che hanno una certa età chissà quante volte hanno sentito parlare di “decoro”. Ci si riferiva, ovviamente, al decoro della famiglia, là dove per decoro si intendeva un sentimento di decenza, di buona creanza, di dignità, ma di una dignità serena e conveniente a ciascuno secondo il sesso, la condizione sociale, la professione. Ecco, il decoro costituiva il genere una sorta di atteggiamento discreto, castigato, quasi pudico. Decoro era, insomma, sinonimo di pudore e di onestà: era, cioè, una disposizione dell’animo e uno stato mentale che portavano ad aborrire le cose sconce o disoneste.

Orbene, questa “forma mentis” dovuta soprattutto alla educazione ricevuta o all’influenza dell’ambiente oppure agli studi compiuti o alle proprie convinzioni ideologiche, era così radicata nel nostro ambiente fino a qualche tempo addietro che tutto ad esso veniva sacrificato: lavoro, interessi, salute, denaro. Dicevano i nostri progenitori: noi dobbiamo sempre camminare “con la faccia in faccia”, cioè a viso scoperto senza mai doverci vergognare di niente e di nessuno. E di ciò i nostri antenati erano fieri da considerare quasi un imperativo categorico questa loro severa ed austera condizione di vita nient’affatto pesante e limitante. Il tutto, naturalmente, era legato ad una vita decorosa e integerrima. Sicchè, allorquando un qualche increscioso accadimento veniva a turbare, per la sua gravità, la vita e l’equilibrio familiare, allora, proprio per evitare sgradevoli commenti che potessero compromettere la dignità, l’onore e l’orgoglio della famiglia, nessun sacrificio era superfluo se esso veniva a propiziarci prudenza e riserbo tali da salvaguardare la “signorilità” del nucleo familiare.

Di qui, il convincimento secondo il quale per evitare facili e gratuiti apprezzamenti o critiche indebite a nostro carico, sui “fatti gravi” di famiglia conveniva e conviene tenere sempre un atteggiamento molto dignitoso e riservato. Diciamo che per la maggior parte delle nostre famiglie, la “signorilità” (di modi, di aspetto, di comportamento, di costumi, ecc.) costituiva il vero e l’unico punto di onore, la sola ricchezza di cui potevamo disporre a profusione. Guai a compromettere questa loro inestimabile dote con azioni vergognose e riprovevoli. Il rimedio era la riservatezza più assoluta, il silenzio rigoroso e, a volte, la volontaria segregazione domiciliare.

Oggi la situazione è del tutto cambiata. La difesa e la conservazione di certi valori 8onestà, moralità, verità), dei quali pochi si danno pensiero, avrebbero bisogno di essere ripescate e riscoperte. Questo atteggiamento varrebbe a ridare alla nostra esistenza il tono e il tenore che esso merita cioè, ideali di condotta, fervore di sentimenti, correttezza di espressioni ed eleganza di stile. Si tratterebbe di un corredo comportamentale maggiormente in sintonia con un ambiente di vita che all’uomo sta chiedendo oggi impegni e rendiconti nuovi, gravi assunzioni di responsabilità, determinazioni coraggiose. In altri termini, la sua palingenesi.