SAN NICANDRO: “DOVA CANT’N TANTA IADD, N’ FA’ MAJ IORN”

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Continua una nuova serie di articoli che parlano sui modi di dire e degli aforismi locali per capire e analizzare la quo ed offrire una visione chiara, lucida e trasparente della condizione umana in cui ognuno di noi può legittimamente dedurre o trarre da ciascuno di essi le considerazioni che gli sembrano più ovvie in riferimento ai tempi, alle usanze, ai problemi, ai comportamenti e agli altalenanti rivolgimenti che la società sta attualmente vivendo. Gli articoli sono tratti dal libro “Voci di Capitanata” di Donato D’Amico.

Il detto di oggi è: “Dova cant’n tanta iadd, n’ fa maj iorn””, cioè “Dove cantano tanti galli non fa mai giorno”.

Primeggiare ed egemonizzare costituiscono, non di rado, un inconscio desiderio della natura umana. Vogliamo dice che in ciascuno di noi c’è l’ansia e la preoccupazione di arrivare, cioè di sistemarsi e, dunque, di collocarsi al posto desiderato e svolgere il ruolo e la funzione che gli sono più congeniali. Ma il viaggio da percorrere non è sempre facile ed agevole. Ostacoli ed impedimenti al cammino dell’uomo non mancano mai. Sono certamente presenti in modo naturale, cioè proprio come prove da affrontare e superare ogni giorno; ma anche in agguato allorquando essi vengono appositamente predisposti per contrastare o contendere al proprio simile la possibilità di eseguire e realizzare idee, proposte, opere e progetti.

In proposito, dobbiamo dire però che l’uomo, inavvertitamente e con un comportamento più che corretto, può anche suscitare suo malgrado, l’invidia del proprio simile; e non solo perché quest’ultimo è incapace di realizzare opere che altri riescono a produrre facilmente, ma anche perché lo stesso manca addirittura di iniziative capaci di proporlo validamente all’attenzione e alla considerazione della collettività. Ciò che vogliamo dire è che la situazione di conflittualità (superbia, orgoglio, sfida, ecc) che insorge tra i vari protagonisti interessati a risolvere una certa situazione, di solito, non consente di gestire in maniera ottimale il lavoro che, intanto, continua a languire tra le more di una sterile e improduttiva contesa. Secondo opinioni di esperti (psicologi, sociologi), questa mancanza di immagine “alla pari” non determina in noi solo un logorante risentimento nei confronti della persona più capace, ma ci procura addirittura un vero e proprio malessere che ci rode dentro e ci consuma lentamente fino a quando non si determina una situazione di appagamento che riequilibri questo scompenso interiore.

L’esperienza insegna che il “riequilibrio” si verifica o nel caso di una sovrabbondante fortuna per sé (il che è molto raro), donde la spavalderia del successo, oppure se complicate circostante negative o situazioni di crisi procurano il fallimento dell’operato altrui. In questa seconda ipotesi risiede sostanzialmente la significatività e il valore del proverbio, perché la crisi e il fallimento che si sono determinati, attesa la situazione di conflittualità tra i vari protagonisti interessati a primeggiare, sottendono espedienti, sotterfugi e interventi subdoli dovuti proprio alla gelosia e alla invidia dei faccendieri poco scrupolosi.

L’analogia con i galli che schiamazzano è quanto mai significativa. Come lo scomposto chicchiriare dei galli non annuncia affatto l’alba di un nuovo giorno, così l’orgoglio, la presunzione, la superbia e la sfida contribuiscono solo a creare un ambiente avvelenato, ove diventa impossibile realizzare edificanti progetti a beneficio della comunità. Se ciascuno di noi rinunciassimo un tantino a certe pretese o sicumere di antico stampo e, viceversa, si ponesse umilmente al servizio degli altri, secondo capacità e competenza, l’umanità ne trarrebbe sicuramente giovamento e profitto. Diciamo che un comportamento corretto e ineccepibile costituisce un’ottima carta di credito, per cui anche le difficoltà, i disagi e le obiezioni risultano facilmente superabili.