Continua una nuova serie di articoli che parlano sui modi di dire e degli aforismi locali per capire e analizzare la quo ed offrire una visione chiara, lucida e trasparente della condizione umana in cui ognuno di noi può legittimamente dedurre o trarre da ciascuno di essi le considerazioni che gli sembrano più ovvie in riferimento ai tempi, alle usanze, ai problemi, ai comportamenti e agli altalenanti rivolgimenti che la società sta attualmente vivendo. Gli articoli sono tratti dal libro “Voci di Capitanata” di Donato D’Amico.
Il detto di oggi è: “Chiagn’ U’ mort’ so’ lacr’m pers’”, cioè “Piangere il morto sono lacrime perdute”.
Considerata alla lettera, la tesi popolare può dar luogo a qualche equivoco. Perciò, diciamo che non si tratta di piangere i propri de funti. Il proverbio è, e vuole essere, un forte richiamo alla realtà con la quale il vivente deve fare comunque i suoi conti per risolvere nel migliore dei modi i problemi della sua vita. In altri termini, il parente non deve abbattersi di fronte alla sventura che lo ha colpito, perché un simile atteggiamento non aiuta a risolvere alcunché, non porta da nessuna parte.
Abbattersi di fronte ad una pur grave sventura non giova a sciogliere i nodi della propria esistenza. È d’uopo reagire alle situazioni incresciose che ci perseguitano, alle disgrazie che ci possono colpire.
Vogliamo dire che simpatie, amicizie, affetti, amore e odio, passioni e sentimenti sono tutti momenti della nostra vita spirituale. Avanti dunque con la vita e per la vita. Non c’è niente per cui valga la pena di annientarsi nel dolore.
Noi crediamo di aver colto il profondo significato del proverbio quando affermiamo che esso ci suggerisce di andare avanti nella vita con il cuore e con la mente.
Se la interpretazione proverbiale da noi raccolta ed espressa è quella giusta, non possiamo sottrarci al dovere di plaudire alla perspicacia dei nostri antenati che nella continuità della vita hanno ravvisato il bene e il benessere del genere umano.