REDDITO DI CITTADINANZA: A CHI VA E DOVE

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Negli ultimi giorni, la Commissione permanente 11 su lavoro e previdenza sociale del Senato ha ospitato le audizioni di un buon numero istituti di ricerca e associazioni interessate al decreto che introduce sia il reddito di cittadinanza che quota 100 sulle pensioni. Nel loro insieme, le audizioni compongono un materiale informativo di grande interesse, di cui sarebbe stato sicuramente utile disporre già qualche mese fa, in modo da poter aiutare il legislatore nella formulazione del decreto stesso.

Qui ne prendiamo in considerazione alcune (la relazione tecnica del governo e le audizioni di Istat, Inps, Upb e Inapp) per rispondere alle due domande: quante famiglie riceveranno il reddito di cittadinanza? E quali principali caratteristiche avranno?

Due delle cinque relazioni (la relazione tecnica del governo e quella dell’Ufficio parlamentare di bilancio) basano le proprie stime su un campione di dichiarazioni Isee presentate nel 2017, mentre le altre tre (di Inps, Istat e Inapp) si affidano all’indagine Silc (Statistics on income and living conditions), un campione di circa 20 mila famiglie che l’Istat ogni anno intervista in merito a redditi e condizioni di vita e lavorative. Spesso i dati Silc vengono calibrati sulla base di informazioni amministrative a disposizione, ad esempio sulla consistenza del patrimonio mobiliare o immobiliare, o del reddito Irpef.

Tutte le stime assumono un coefficiente di take up (la percentuale di famiglie potenzialmente beneficiarie che riceveranno effettivamente il reddito di cittadinanza) inferiore al 100 per cento, in linea con l’evidenza disponibile. Il take up è comunque sempre piuttosto alto, e ciò sembra coerente con i dati finora disponibili sul reddito di inclusione, che a dicembre 2018, a soli sei mesi dalla sua estensione all’universo delle famiglie italiane, aveva già raggiunto oltre 460mila famiglie sulle 700mila stimate dal governo precedente (66 per cento): non poco per una misura che non era ancora a regime e che è stata poco pubblicizzata dall’attuale governo. L’importo più alto del trasferimento del reddito di cittadinanza rispetto a quello del Rei e l’ampio dibattito che nelle ultime due legislature ha accompagnato la misura dovrebbero comportare un take up molto alto.

Stime su beneficiari e costi. Il numero delle famiglie che dovrebbero ricevere il reddito di cittadinanza varia da un minimo di 1,2 milioni (Inps) a un massimo di 1,7 milioni (Inapp). Poiché l’Istat stima che in Italia vi siano circa 1,8 milioni di famiglie in povertà assoluta, effettuando una media tra queste stime si può concludere che dovrebbero essere raggiunti dal beneficio almeno due terzi dei nuclei poveri assoluti. Nessuna delle stime qui sintetizzate arriva a prevedere “l’abolizione” della povertà, anche se quella dell’Inapp è molto vicina alla copertura dell’intera platea. Bisognerà poi verificare, a parte i numeri assoluti, se vi sarà sovrapposizione completa o solo parziale tra la platea del reddito di cittadinanza e quella delle famiglie povere. Per ora l’Inps fa notare che vi sarà una parte di coloro che hanno ricevuto il Rei (circa l’8 per cento), presumibilmente poveri assoluti, che non potrà ottenere il reddito di cittadinanza. È anche probabile che una parte dei nuovi nuclei che riceveranno il sussidio, soprattutto quelli monocomponenti, sia al disopra della soglia di povertà assoluta, soprattutto nel Meridione.

Sempre secondo l’Istat le persone in povertà assoluta sono circa 5 milioni. Molte meno – circa la metà – sarebbero, secondo Inps e Istat, quelle che otterranno il reddito di cittadinanza. La differenza dipende dai risultati molto discordanti sulla dimensione media dei nuclei raggiunti. Le stime che si basano sulle dichiarazioni Isee presentate nel 2017 prevedono che meno del 30 per cento dei nuclei beneficiari sarà rappresentato da persone che vivono da sole. Per le altre tre relazioni, invece, costituiranno almeno il 40 per cento, e forse la metà, del totale delle famiglie con reddito di cittadinanza. Nelle dichiarazioni Isee del 2017 mancano ancora le domande per il reddito di inclusione, mentre sono presenti quelle fatte per accedere a prestazioni che spesso sono rivolte a minori, quindi presentate da nuclei con più di un componente. È probabile che l’introduzione del reddito di cittadinanza spinga a presentare la dichiarazione Isee persone sole che finora non avevano mai avuto bisogno di chiedere una prestazione erogata in base all’Isee. Per alcune relazioni, dunque, il reddito di cittadinanza sembra destinato in misura significativa alle famiglie numerose, per altre soprattutto a persone sole e verosimilmente non più giovani. Anche la bassa scala di equivalenza implicita nel trasferimento, ben al di sotto di quelle generalmente utilizzate, e in particolare di quella dell’Isee, dovrebbe favorire i nuclei piccoli rispetto a quelli numerosi. È probabile dunque che le stime dell’Inps e dell’Istat sulla forte presenza di monocomponenti tra i beneficiari, risultino più vicine alla realtà.

 

Sulla ripartizione dei nuclei beneficiari tra le aree geografiche c’è invece accordo: più della metà saranno residenti nelle regioni meridionali, una percentuale superiore a quella delle famiglie povere assolute nel 2017 stimate dall’Istat (ultima colonna). Al Nord quindi il reddito di cittadinanza non riuscirà a raggiungere tutti i poveri assoluti, un risultato forse da associare alla esclusione degli stranieri residenti da meno di dieci anni, visto che i nuclei stranieri si concentrano proprio nelle regioni settentrionali, dove sono maggiori le occasioni di lavoro. Al riguardo, l’Ufficio parlamentare di bilancio stima che il vincolo di residenza determini una riduzione dei beneficiari stranieri al Nord cinque volte superiore a quella prevista nel Mezzogiorno.

Le stime dei vari gruppi di ricerca conducono a risultati che per alcuni aspetti sono molto vicini e per altri distanti. Le differenze maggiori riguardano il numero di persone coinvolte e la quota di nuclei monocomponenti sul totale dei beneficiari. Il reddito di cittadinanza è relativamente più elevato per queste famiglie rispetto a quelle molto numerose, a causa della scala di equivalenza piatta. Ciò dovrebbe spingere soprattutto le persone sole a fare domanda. E non è esclusa la possibilità che famiglie numerose decidano di scindersi legalmente per aumentare la probabilità di ricevere il sussidio. Sarà molto interessante e istruttivo, tra qualche mese, confrontare le stime con i numeri veri. (lavoce)

Massimo Baldini e Lorenzo Lusignoli