QUANTO E’ UTILE TASSARE LE SIGARETTE

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La crociata contro il consumo di beni “immorali” non si ferma. La legge di bilancio, infatti, prevede l’aumento delle accise su vari prodotti, tra cui spiccano le sigarette e, più in generale, il tabacco. In un primo momento, si è cercato di rassicurare i consumatori sostenendo che il rincaro sarebbe stato sulle spalle dei produttori, tuttavia la relazione tecnica (articolo 87) che accompagna la manovra non lascia spazio a molti dubbi: i rincari delle accise potrebbero spingere i produttori ad aumentare i prezzi per proteggere gli utili. Il provvedimento dunque peserà sul portafogli di molti italiani consumatori di sigarette, sigari e tabacco trinciato, quasi il 20 per cento della popolazione, nell’ordine di 10 centesimi in più al pacchetto.

È una strategia utilizzata da molti governi: da un lato, permette di aumentare le entrate pubbliche e, dall’altro, serve a ridurre il consumo di un bene nocivo. D’altra parte, ci sono conseguenze negative per l’industria del tabacco (e quindi per l’occupazione del settore) e per l’industria di produzione delle foglie di tabacco che, però, riguarda solo un numero limitato di paesi. È dunque importante capire in che misura l’aumento delle accise su sigarette e tabacco ha conseguenze più ampie di un semplice aumento dei prezzi.

Con la decisione di aumentare le accise sul tabacco, il governo italiano punta a incrementare il gettito di 132,6 milioni (rispettivamente: 108 dalle sigarette, 22,5 dal tabacco trinciato e 2,1 da sigari e sigaretti), che si sommano ai 14 miliardi complessivi già raccolti dal settore. Tassare questi prodotti è un lavoro tutto sommato semplice per via della particolarità del mercato del tabacco. Innanzitutto, la domanda di sigarette e tabacco è relativamente anelastica: i consumatori sono dipendenti dalla nicotina e dunque pochi centesimi in più non li porteranno a spendere i loro soldi su altri prodotti sostitutivi più economici. Inoltre, i produttori sono relativamente pochi (oligopolio) e perciò monitorarli e sorvegliare che effettivamente paghino il dovuto ha bassi costi per lo stato.

Nonostante i possibili vantaggi, chi si oppone a questa politica lo fa per due motivi principali. I rincari peserebbero inevitabilmente di più sulle fasce più povere e dunque potrebbero essere considerati imposte regressive. Se poi la motivazione dietro l’aumento dei prezzi è la riduzione del consumo di tabacco, ci si dovrebbe aspettare una diminuzione delle entrate pubbliche e non un aumento.

Gli effetti sui conti pubblici sarebbero anche molti altri, ma l’impatto più immediato è quello sulle abitudini delle persone. Aumentare il prezzo del tabacco è un mezzo efficace per ridurne il consumo?

Alcuni dati. Nella lotta al fumo, promossa dalle grandi associazioni mondiali di sanità, i governi hanno a disposizione tanti strumenti: dalle campagne di sensibilizzazione alla promozione di trattamenti sanitari. L’Organizzazione mondiale della sanità spiega che l’aumento dei prezzi di sigarette, sigari e prodotti simili è il metodo più efficace e conveniente per ridurre il consumo di tabacco. Lo mostrano anche i dati empirici di molti paesi, tra cui la Francia. L’influenza sui consumi si ha, in Italia come in altri paesi sviluppati, attraverso una riduzione del tasso di fumatori in età adulta. Gli studi e le analisi empiriche che hanno provato a definire questa relazione sono innumerevoli e quasi tutti riscontrano una causalità negativa, seppur con valori diversi. Il valore medio, spesso citato per avere un’idea del fenomeno, consiste in un’elasticità di -0,4: ciò significa che a un aumento del prezzo del tabacco del 10 per cento corrisponde una diminuzione dei consumi del 4 per cento.

Numerosi studi mostrano poi che il consumo di tabacco varia con età e status socioeconomico (a cui si aggiunge un ulteriore differenziazione per genere). Questo influenza l’elasticità al prezzo del tabacco e, di conseguenza, l’efficacia di un aumento dei prezzi. I giovani, in particolare gli adolescenti, sono più suscettibili nelle loro scelte di consumo a un aumento dei prezzi e le ragioni possono essere varie: hanno un reddito disponibile minore e il consumo di sigarette rappresenta una spesa più significativa; sono più focalizzati sulle conseguenze di breve termine, dunque sul costo monetario; sono più influenzabili dalle persone di cui si circondano e la loro percezione del tabacco e del fumo può cambiare con più facilità.

Esiste, inoltre, una relazione inversa tra il consumo di tabacco (prodotti da esso derivati) e lo status socioeconomico del consumatore. In altre parole, i poveri fumano più dei ricchi. E quanto più questa relazione è vera, tanto più un aumento dei prezzi tende a essere regressivo.

La fotografia dall’Italia. Se le ricerche sostengono l’esistenza di un deciso rapporto causale tra prezzo e quantità di tabacco consumato, sulle specificità dell’Italia sappiamo un po’ di meno. Gli studi che recentemente hanno provato a quantificarne l’effetto ne stimano un’elasticità al prezzo che va da -0,24 a -1,07. Dunque, il recente incremento della tassazione deciso dal governo porterebbe a una diminuzione di sigarette vendute tra 400 milioni e un miliardo e 700mila chili.

In Italia, la tassazione complessiva sulle sigarette contribuisce per il 77 per cento al prezzo medio di vendita. La componente più importante è rappresentata dall’imposta ad valorem, la più alta d’Europa. Ma il prezzo medio di vendita non è tra i più alti, anzi. Se prendiamo i dati del Tabacco Control Scale, un noto progetto di indagine sui meccanismi di contrasto al fumo, l’Italia si classifica al sedicesimo posto (poco oltre la media europea) per quanto riguarda le politiche di prezzo. Nella classifica generale – che include anche le leggi anti-fumo, le campagne informative e i trattamenti per la cessazione – guadagniamo qualche posizione: tredicesimo posto.

La storia recente delle accise e, più in generale, della tassazione sul tabacco in Italia è caratterizzata da una serie di inasprimenti fiscali che, insieme alle politiche di contrasto al fumo, hanno portato a buoni risultati. La pressoché costante ascesa dei prezzi negli ultimi vent’anni, unita all’adozione di provvedimenti di altra natura, coincide con una diminuzione della vendita di sigarette. In particolare, dal 2003, anno del divieto di fumo nei luoghi pubblici, le sigarette vendute sono costantemente in calo. Stessa cosa si può dire, anche se con tendenza più altalenante, del numero dei fumatori in percentuale della popolazione, che oggi si attesta al 19,9 per cento (era il 24,2 del 2001). Quanto ai giovani (14-17 anni), sono aumentati in percentuale della popolazione dal 2001 al 2009, ma si sono ridotti dal 2010 a oggi.

I risultati su consumatori e quantità venduta di tabacco sembrano quindi dare ragione a chi auspica questo tipo di tassazione. Tuttavia, ci possono essere anche svantaggi.

Un dossier del Sole-24Ore sul mercato del contrabbando di sigarette in Italia mostra quantomeno una corrispondenza tra l’aumento di varie componenti della tassazione del tabacco e la crescita del mercato illecito tra il 2013 e il 2017. Un’altra controindicazione è la regressività delle tasse imposte negli ultimi anni su questi prodotti, tanto più che il contrappeso della dissuasione non è così evidente tra le fasce meno abbienti.

La riduzione del numero di fumatori degli ultimi anni non si è infatti distribuita in maniera uniforme tra le varie classi sociali. Tra il 2008 e il 2013, per esempio, mentre per chi dichiara di avere poche o nessuna difficoltà economica il calo risulta significativo, per chi ha difficoltà economiche l’effetto è minore e non significativo. Lo dice uno studio di Epidemiologia e Prevenzione, che prova a spiegare il fenomeno con l’ascesa sul mercato del tabacco rollato a mano.

Dunque, l’aumento delle accise è in linea con le politiche adottate in altri paesi avanzati per la lotta al consumo di tabacco e che si sono dimostrate utili ed efficaci. Per quanto possa essere impopolare un’imposta che colpisce i consumi e che pesa di più sulle classi più svantaggiate, i vantaggi a lungo termine sono concreti, sebbene nel breve termine lo scopo principale sia quello di aumentare il gettito fiscale.

Mario Lorenzo Janiri e Alfonso Langastro