NUMERI CHE RACCONTANO LA VIOLENZA CONTRO LE DONNE

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Il 25 novembre è la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. I dati mostrano segnali di miglioramento in Italia, ma la strada da percorrere è ancora lunga. Soprattutto servirebbero politiche specifiche di ampio respiro.

La violenza contro le donne in Italia. Qualche miglioramento, ma ancora tanto, tanto da fare sul fronte della violenza contro le donne nel nostro paese, un fenomeno dalle diverse sfaccettature che meriterebbe riflessioni approfondite e politiche specifiche.

Secondo quanto riportato dall’Istat, nel 2017 in Italia si sono registrati 357 omicidi volontari, pari a 0,59 casi ogni 100mila abitanti, in costante diminuzione fin dai primi anni Novanta (elaborazioni sui dati del ministero dell’Interno). Il calo ha però riguardato esclusivamente gli uomini (che costituiscono da sempre la maggioranza delle persone uccise), anche grazie alla riduzione delle vittime di mafia. Al contrario, il tasso registrato per le donne è pressoché costante e se negli anni Novanta si contavano cinque vittime uomini per ogni donna uccisa, il rapporto è oggi di due a uno. È doveroso perciò chiedersi quali siano le cause di tali differenze. Il fatto è che “si tratta di due fenomeni strutturalmente diversi” (Istat): gli uomini vengono uccisi soprattutto da sconosciuti, in spazi pubblici, omicidi che possono essere ridotti attraverso le politiche per la sicurezza e nell’ambito della lotta alla criminalità organizzata. Le donne invece nella stragrande maggioranza dei casi sono uccise da una persona conosciuta, quasi sempre partner o familiari. Le politiche per la sicurezza sono perciò inefficaci e servono dunque misure studiate appositamente per contrastare la violenza contro le donne.

Tra le 123 donne uccise nel 2017, otto su dieci conoscevano il proprio assassino e in oltre sette casi su dieci si trattava di un familiare (partner o ex partner nel 44 per cento dei casi; altro familiare nel 29 per cento). Sono numeri che fanno rabbrividire e che purtroppo rappresentano solo la punta dell’iceberg della violenza contro le donne, definita dalle Nazioni Unite come “qualsiasi atto di violenza per motivi di genere che provochi o possa verosimilmente provocare danno fisico, sessuale o psicologico, comprese le minacce di violenza, la coercizione o privazione arbitraria della libertà personale, sia nella vita pubblica che privata” (Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne).

Recentemente, piuttosto che di “violenza contro le donne” si tende a parlare di “violenze di genere”, definizione utilizzata per esempio dall’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (Eige), per sottolineare proprio come si tratti di un fenomeno profondamente radicato nelle diseguaglianze di potere tra uomini e donne. Eige, seguendo la Convenzione di Istanbul, identifica quattro forme di violenza: fisica, sessuale, psicologica ed economica.

Secondo i dati elaborati dall’Istituto riferiti al 2012, in Italia quasi una donna su tre ha subito violenza fisica o sessuale (Italia 27 per cento; Unione europea 33 per cento) e circa il 5 per cento ha subito uno stupro o un tentato stupro; quasi il 20 per cento delle donne è stata vittima di stalking (Italia e Unione europea: 18 per cento); il 38 per cento ha subito violenze psicologiche da un partner o ex-partner (Unione Europea: 43 per cento). L’indagine sulla sicurezza delle donne, condotta dall’Istat nel 2014, indica inoltre che il tasso di violenza fisica o sessuale tra le donne straniere è pari a quello tra le donne italiane, con però l’incidenza di stupri o tentati stupri è maggiore. Tuttavia, le donne straniere sono vittime di violenza fisica e sessuale al di fuori della coppia da parte di italiani molto più spesso di quanto le donne italiane siano vittime di stranieri, in special modo per quanto riguarda le violenze sessuali.

Molestie e ricatti sul lavoro. Numeri impressionanti anche per quanto riguarda le molestie. Le hanno subite nel corso della loro vita quasi 9 milioni di donne tra i 14 e i 65 anni (44 per cento) e oltre 3 milioni e 750mila uomini (19 per cento) (dati Istat 2015-16). In entrambi i casi, le molestie sono perpetrate da uomini: l’85 per cento di quelle subite dagli uomini è opera di altri uomini, così come il 97 per cento di quelle subite dalle donne. Esiste quindi “un’asimmetria di genere tra le vittime e un’asimmetria di genere tra gli autori” (Linda Laura Sabbadini, La Stampa).

Un milione e 173mila donne sono state vittime di ricatti sessuali sul posto di lavoro nel corso della loro vita lavorativa, il 7,5 per cento delle lavoratrici attuali o passate (comprese quelle in cerca di occupazione), cifra che sale a più di 1 milione e 400mila se si considerano anche le donne vittime di molestie sessuali sul lavoro. Per essere assunte, per non perdere il lavoro, per ottenere progressioni nella carriera. In un terzo dei casi, i ricatti sono ripetuti più volte la settimana o addirittura quotidianamente. Una situazione pesantissima, che dovrebbe far scattare più di un campanello d’allarme.

Le buone notizie, per fortuna, ci sono. I dati dell’Istat per il 2015-16 indicano una diminuzione delle molestie rispetto al 2008-2009. Anche le violenze di genere, misurate nel 2014, indicavano un declino rispetto alla rilevazione precedente. Tuttavia, i ricatti sessuali sul lavoro non sono in diminuzione, non lo sono gli stupri né gli omicidi di donne da parte di partner, familiari e conoscenti. L’unico tasso in riduzione è quello degli omicidi di donne da parte di sconosciuti, così come per gli uomini. La strada da percorrere è ancora tanta.

Sono necessarie misure specifiche, come il rafforzamento e sostegno dei centri antiviolenza e tempi certi per i processi. Ma sono soprattutto urgenti misure di lungo periodo e ampio respiro, come l’educazione di genere nelle scuole, la formazione su molestie sessuali e violenza di genere nei posti di lavoro e, ove possibile, in modo capillare nella società – per sensibilizzare donne e uomini a riconoscere e denunciare le diverse forme di sessismo, molestie, e violenze. Sono però necessarie anche politiche che promuovano l’uguaglianza di genere nel mercato del lavoro, perché la riduzione della violenza domestica passa attraverso il rafforzamento dell’autonomia femminile e la diminuzione delle diseguaglianze di genere.

Daniela Piazzalunga