NON C’E’ ROSATELLUM SENZA SPINE

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Numeri di un governo impossibile. Ora che le fanfare e i lamenti del day after vanno spegnendosi è opportuno dare uno sguardo un po’ più analitico alla situazione che si è creata con la prima applicazione della legge elettorale detta “Rosatellum”. In termini numerici, il quadro è quello riportato nella tabella 1, che va letta con due avvertenze: a) le percentuali di voto riportate sono quelle della Camera, ma al Senato sono del tutto analoghe; b) i seggi mancanti per la formazione del governo (ultima colonna) sono calcolati sul numero minimo necessario – valer a dire 316 alla Camera e 158 al Senato – ma occorre ricordare che, per assicurare un governo stabile, sarebbero necessari almeno 20 seggi in più alla Camera e 10 al Senato.

Tabella 1

Dati i numeri, le opzioni per formare un governo sono solo tre: 1) sostanzialmente tutti i deputati del Cds appoggiano un governo del M5s; 2) almeno la metà dei deputati del Cds appoggiano un governo di Cdx; 3) una parte del Cdx (la Lega?) converge su un governo con M5s. Sennonché, tradotti in termini politici, questi scenari vogliono dire che, al fine di contribuire a una maggioranza di governo, a una lista – nello specifico il Cds – si chiede di modificare le sue idee politiche, sociali ed economiche in maniera assai significativa, nonché di “traghettare” i voti dei suoi elettori in una direzione molto diversa da quella per la quale è stata scelta. Ad esempio, è più che lecito dubitare che gli elettori del Pd siano favorevoli al fatto che l’intero contingente di parlamentari che hanno eletto abbracci la visione dell’Europa propugnata dal M5s. L’ipotesi poi che almeno la metà di questi stessi parlamentari voti per le politiche decise da un governo guidato da Matteo Salvini è probabilmente ancora più difficile da digerire. Ma forse, data la diversità di vedute su tanti temi cruciali, anche gran parte degli elettori della Lega e di M5s non approverebbero un governo formato da queste forze politiche.
Dunque, “nel nome del Rosatellum” si sono prodotte due strampalate alternative: o il governo si forma su una maggioranza eterogenea che disattende le aspettative e la volontà espressa da un numero minoritario ma comunque molto alto di elettori, oppure non si forma nessun governo.

L’alternativa non è il modello francese. In Francia, invece, grazie a un sistema elettorale che prevede un doppio turno al quale accedono solo le due liste più votate al primo, Emmanuel Macron è riuscito a ottenere un’ampia e solida maggioranza governativa partendo da una base elettorale pari solo al 24 per cento.
Importare il sistema francese in Italia non è tuttavia possibile. Infatti, nella sentenza n. 35/2017, la Corte costituzionale ha dichiarato incompatibile con la nostra Carta la legge elettorale cosiddetta Italicum, tra l’altro, perché prevedeva che al turno di ballottaggio accedessero le sole due liste più votate al primo turno, senza che fossero consentite, tra i due turni, “forme di collegamento o apparentamento fra liste”. Ciò comporta, secondo la Corte, un’eccessiva compressione del carattere rappresentativo dell’assemblea elettiva e del principio di eguaglianza del voto. Va anche detto che, in tempi di populismo imperante, il fatto che una lista sia in grado di ottenere, da sola, una maggioranza parlamentare capace di formare un governo non è una prospettiva a cui mirare. Saremmo ora a studiare il sistema francese se avesse vinto Marine Le Pen, che al primo turno aveva una base elettorale del 21,3 per cento? È forse allora il caso di esplorare la possibilità di modificare il Rosatellum prevedendo un secondo turno, ma non sul modello francese, bensì secondo le linee indicate dalla Corte costituzionale, ossia consentendo a tutte le liste che si sono presentate al primo turno di accedere al secondo, previa però la possibilità di apparentamenti con le due liste uscite vincitrici dal primo.

La soluzione, accennata qui in linea di massima e tutta da approfondire, avrebbe i seguenti vantaggi:

  1. gli apparentamenti tra liste avverrebbero prima del secondo turno e dunque gli elettori sarebbero in grado di esprimere il loro assenso o dissenso;
  2. immediatamente dopo il secondo turno elettorale (che avviene in genere 15 giorni dopo il primo) vi sarebbe una maggioranza parlamentare certa e dunque il governo potrebbe essere subito formato, senza vuoti di potere;
  3. il governo sarebbe più forte e autorevole perché la maggioranza che lo sostiene sarebbe stata legittimata dal voto espresso nel secondo turno;
  4. un governo solido dal punto di vista della sua legittimazione politica e sicuro della sua maggioranza parlamentare è molto più efficace nelle istanze europee, dove pertanto gli interessi italiani sarebbero meglio tutelati.

Pietro Manzini

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