LO SPREAD COLPISCE ANCORA: MA E’ UN NUOVO 2011?

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Dopo anni di torpore, è tornato a salire lo spread, ossia il differenziale tra i rendimenti dei titoli a dieci anni tedeschi e italiani, che rappresenta il termometro della percezione di rischiosità del debito italiano. Anche se ogni periodo ha le sue specificità, è utile capire se i movimenti degli ultimi mesi hanno qualcosa in comune con quanto è avvenuto negli anni di piena crisi del debito sovrano, ossia 2011 e 2012. Nonostante l’ombrello del quantitative easing della Bce, negli ultimi mesi la dinamica dello spread si è sensibilmente vivacizzata. Qui prendiamo in esame le notizie di politica interna che hanno originato i suoi movimenti.

Per esempio, a maggio, il mese in cui il dialogo per la formazione del nuovo governo si stava facendo sempre più frenetico, è salito di 169 punti base in sole 17 sedute di mercato. La crescita si è intensificata dal 16 maggio, quando è circolata la bozza del contratto di governo che paventava un piano per l’uscita dall’euro prevedendo anche la cancellazione di 250 miliardi di debito pubblico detenuto dalla Bce. Il massimo aumento giornaliero è stato pari a 56,1 punti base ed è avvenuto il 29 maggio (289 punti base), in concomitanza con la notizia che il governo Cottarelli non avrebbe avuto la fiducia in Parlamento. Tra la seduta di quel giorno e le quattro precedenti lo spread è aumentato di 112,6 punti base.

A settembre il differenziale ha intrapreso un sentiero in discesa perché i mercati si aspettavano il prevalere della linea del ministro Giovanni Tria di mantenere il deficit all’interno dei parametri concordati con la Ue. Dal 27 settembre, quando è stata rilasciata la Nota di aggiornamento al Def, lo spread si è nuovamente impennato. In sole tre sedute, è aumentato di 68 punti base (31,7 dei quali solo il 28 settembre).

Dal 16 ottobre, data la volontà del governo di non rivedere la manovra e a causa della lettera di critica da parte della Commissione europea, il differenziale è di nuovo tornato a salire. Il 18 ottobre è aumentato di 21 punti base. Il 19 ottobre, sulla base di tensioni all’interno della maggioranza, lo spread arriva a toccare 338 punti base, valore massimo dal 2013, per poi chiudere a 315 punti base, grazie anche a dichiarazioni della Commissione che non teme un rischio contagio dall’Italia. A mercato ormai chiuso Moody’s declassa con outlook stabile i titoli sul debito italiano da Baa2 a Baa3, l’ultimo gradino prima di essere considerati bond spazzatura. Un declassamento (il primo dal 2012) che tuttavia era già scontato dal mercato, che anzi si attendeva esiti peggiori.

Ma torniamo indietro nel tempo, ai giorni più neri della crisi del debito sovrano, in cui gli italiani hanno scoperto l’esistenza dello spread. Il 2011 è iniziato con il quarto governo Berlusconi ed è finito con il governo tecnico di Mario Monti. I momenti di maggiore tensione sui mercati sono stati tre: a luglio, quando per la prima volta lo spread è salito sopra quota 300, a novembre, quando ha addirittura sfondato i 500 punti base, e a dicembre. L’11 luglio si è registrato l’aumento massimo giornaliero dell’intero anno, un’impennata di 57,3 punti base (+112 con i quattro giorni precedenti). È il risultato di un inizio mese burrascoso: bocciata da Standard and Poor’s, entra in vigore il 6 luglio la manovra correttiva da 24 miliardi per il raggiungimento del pareggio di bilancio entro il 2014. Non convince i mercati e spinge lo spread su di 45 punti in tre sedute (+19,7, +2,3 e +23). Viene convocato per domenica 10 un vertice di emergenza dei capi di stato e di governo dell’Eurozona che ha per tema Grecia e Italia: il nostro paese entra di diritto tra i colpiti dal virus della speculazione finanziaria. Alla riapertura dei mercati di lunedì 11 luglio, gli operatori scontano questo nuovo stato di “malata” dell’Italia e lo spread registra uno strappo al rialzo di 57,3 punti.

Il secondo episodio di aumento repentino si è verificato a novembre. Tra l’8 e il 9, Silvio Berlusconi si rende conto di non poter più contare su una maggioranza in Parlamento e Mario Monti viene nominato senatore a vita. Il 9 novembre lo spread aumenta in un giorno di 56 punti base, coronando un aumento settimanale di 115 punti, fino a toccare quota 550.

A dicembre si verifica poi il terzo episodio più violento del 2011: l’8 lo spread aumenta di 55,4 punti in un giorno. Una giornata difficile su vari fronti: l’Eba, l’autorità bancaria europea, ha messo in luce l’esigenza di ricapitalizzazione delle banche colpite dalla crisi del debito sovrano; in sede europea, in un difficile vertice salva-euro, sono emerse differenti visioni per risolvere la crisi. Nonostante la Banca centrale europea abbia ulteriormente tagliato i tassi, per le borse ha pesato la revisione al ribasso della crescita europea per il 2012 e la delusione per lo scetticismo mostrato dal capo della Bce su acquisti più massicci di bond sovrani.

Rispetto agli altri due aumenti, si è trattato di un episodio brusco ma isolato, accompagnato solo da una più lieve tensione del giorno precedente (+21,7 punti). Il 9 dicembre il differenziale scende di 24,7 punti, per poi tornare ad aumentare, sebbene a un ritmo ben più rallentato.

Quindi, se la tensione politica interna si è allentata con la formazione del governo tecnico di Mario Monti, la pressione sullo spread viene d’ora in poi alimentata soprattutto dalle dinamiche europee.

Nel 2012 lo spread si è mantenuto su valori mediamente alti, senza però picchi repentini come era accaduto nel 2011. L’Italia del 2012 è caratterizzata da una debole crescita potenziale, una grande necessità di riforme strutturali, una disoccupazione giovanile alle stelle e sistemi bancari molto esposti al rischio sovrano. Peculiarità che la rendono un paese instabile e fortemente esposto alla volatilità dello spread. Tuttavia, in questo periodo hanno giocato un ruolo più significativo fattori esogeni, come dichiarazioni di autorità europee o crisi in altri paesi.

Il primo episodio si verifica ad aprile, quando lo spread aumenta in una settimana (dal 3 al 10) di 74 punti base. In questo periodo, cade la domanda di Btp a causa della fine della liquidità fornita dalla Bce alle banche per incentivare l’acquisto di titoli sovrani. Anche i bonos spagnoli fanno fatica a essere collocati sul mercato primario, con una ricaduta negativa anche sull’Italia. La situazione precipita in particolare il 10 aprile con un aumento giornaliero di 32 punti, per poi ristabilizzarsi.

A maggio un simile aumento è conseguenza dalla crisi greca: Alexis Tsipras ha appena vinto le elezioni e la minaccia dell’uscita della Grecia dall’euro si fa sempre più plausibile. L’instabilità è ancora una volta aggravata dalla Spagna, che vive una grave crisi bancaria. Di riflesso, nella settimana dall’8 al 15 maggio in Italia lo spread aumenta di 48 punti, con una significativa crescita giornaliera il 14 maggio (+24,8).

A giugno sono invece gli annunci di Angela Merkel a fare esplodere il differenziale. In vista del summit europeo in cui all’ordine del giorno c’è il piano anti-spread, la cancelliera tedesca si dichiara nettamente contraria agli eurobond e quindi a una condivisione del rischio sovrano a livello europeo. Dal 21 giugno, lo spread salta di 47 punti in sei giorni. Nella sola seduta del 25 giugno è aumentato di 33 punti.

A fine luglio è Mario Draghi a provocare fluttuazioni nello spread italiano. Dopo il famoso “whatever it takes” del 26 luglio, il 2 agosto durante una conferenza stampa mostra una forte apertura verso operazioni non convenzionali, ma ne indica solo le linee guida non definendone in modo concreto tempi e modi. I mercati reagiscono male alla mancanza di concretezza e proprio in contemporanea alle dichiarazioni del presidente della Bce, lo spread subisce un fortissimo strappo al rialzo, acquistando nel giro di un solo giorno 53,2 punti. Quelle dei mercati sono però conclusioni affrettate: il giorno dopo gli acquisti ripartono e lo spread perde 47,3 punti.

In conclusione, i tre anni presi in esame (2011, 2012 e 2018) hanno uno sfondo politico ed economico sicuramente molto diverso.

Tuttavia, in tutti e tre i periodi gli aumenti giornalieri massimi dello spread sono compresi tra i 50 e i 60 punti base e di solito sono preceduti da una tendenza già rialzista. Quindi, notizie che ne influenzano il valore sono in qualche modo già scontate e non hanno effetti eccessivamente bruschi. Inoltre, nel 2011 e nel 2018 le notizie che hanno scatenato aumenti sono per lo più legate a dinamiche politiche ed economiche interne, mentre nel 2012 le notizie venivano dagli ambienti internazionali. Durante la crisi del debito sovrano, i destini dei paesi periferici dell’Eurozona erano legati a doppio filo e l’andamento dei rispettivi spread era simile. Oggi, invece, lo spread italiano segue una sua traiettoria principalmente tracciata dalle scelte di politica interna.

Oltretutto, nel biennio 2011-2012 non c’era il quantitative easing, mentre oggi gli acquisti della Bce tengono i tassi a livelli più bassi e hanno quindi l’effetto di calmierare l’aumento dei rendimenti di mercato. Un aumento di 50 punti oggi, quindi, è un segnale ben più forte rispetto a una pari variazione senza Qe.

Ma a dicembre lo stimolo monetario dovrebbe esaurirsi e allora l’Italia perderà un compratore importante dei suoi titoli, non solo per la quantità di debito acquistato, ma soprattutto perché la Bce agisce in modo disinteressato rispetto all’andamento di mercato. È quindi sensato aspettarsi che in futuro queste variazioni possano essere più accentuate.

Per ora, però, non si è verificata la convergenza del rendimento dei titoli biennali e dei titoli decennali avvenuta nella fase più acuta della crisi del debito sovrano, quando il panico dei mercati aveva portato a livelli alti anche i tassi a breve

Chiara Giannetto, Mariasole Lisciandro e Lorenzo Sala