LE CLASSICHE PASSEGGIATE A SAN NICANDRO NEL SECOLO SCORSO

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Ancora una descrizione di San Nicandro tratta da “Alba Novecento” di Silvio Petrucci.

Corso Umberto e Corso Garibaldi erano le vie classiche delle passeggiate che, di solito, si prolungavano oltre il Convento. Dopo il corso selciato, la via proseguiva nel mezzo della campagna. Nel primo tratto, sulla sua sinistra, si distende un terrapieno che sembra una terrazza naturale affacciata verso la vallata in cui scorre il Canalone e sul quale, ai nostri giorni, è stato costruito un belvedere. Nello sfondo del Canalone spiccano due strisce quasi sovrapposte: una costituita da una fetta del lago di Lesina e l’altra, più azzurra, da un’ampia distesa di mare con in mezzo le Isole Tremiti.

La passeggiata lungo la via carrozzabile si sviluppava tra i vigneti, i mandorleti di Mascialone e, più in giù, alla curva di Tarantone, tra due “piscine” in un aspro paesaggio carsico dominato da una caratteristica costruzione solitaria su una nuda pietra groppa, di cui nessuno ha mai saputo dire l’origine e la destinazione. E’ chiamata “Papaglione” ed è di forma quadrangolare, senza porta e finestra, con una specie di tetto a cupola, forato al centro.

Più oltre, la passeggiata raggiungeva il primo miglio del paese e, al posto di una pietra miliare vi era un masso cubico, un dado gigantesco con una incisione latina in maiuscole corrose in gran parte dal tempo e che perciò si chiamava “Pietrascritta”. Soltanto di recente e lunghe ricerche di un giovane studioso sannicandrese, Beniamino Gabriele, hanno portato ad una traduzione, con la ricomposizione di qualche lettera latina logorata dal maltempo o da qualche vandalismo, che così riportiamo: “O STANCO VIANDANTE, SOFFERMATI E RIPOSA, AMMIRA IL CAMMINO PERCORSO. GIUSEPPE RUSCITTO NE FU L’AUTORE PER PUBBLICO INCARICO.” Il Gabriele non è riuscito ad individuare l’epoca in cui il sasso fu scritto, riservandosi di essere più preciso al compimento delle sue ricerche, ma opina che la data sia a cavallo tra il secolo XVIII e quello XIX.

La strada prosegue verso la “Tufara” una zona detta così per le abbondanti cave di tufo pregiato e lasciando le ultime pendici della montagna, accede bella piana di £Sagri”, il granaio di Sannicandro, dai terreni fertilissimi sui quali, però, per la immediata vicinanza delle paludi formantisi attorno al lago di Lesina, incombeva mortale il percolo della malaria.

Allora le passeggiate si potevano fare comodamente lungo le strade carrozzabili che, pur non essendo ancora asfaltate, non presentavano che rarissimamente l’inconveniente delle nuvole di polvere. Qualche volta, dopo il Convento, si preferiva alla via carrozzabile un sentiero che, tra sassi e basse macchie, portava alla collinetta di San Giacomo, detta così per la chiesetta solitaria officiata in un solo giorno dell’anno con il “mattutino£ affollatissimo di fedeli dal più taciturno e sornione dei preti di allora: don Nicola Bevilacqua. Volgendo poi una discesa a valle, il sentiero raggiungeva la sponda del Canalone, in un punto in cui questo scorreva come in una voragine dantesca, per la glaciale parete della “Murgia di Nardacece) che vi si ergeva a strapiombo ed evocava spiriti di una misteriosa leggenda.

Attorno alla chiesa di San Giacomo l’unica attrattiva era una lastra di pietra calcarea che presentava un buco in forma di piede: secondo la leggenda San Giacomo, ladro di paglia, aveva lasciato l’impronta del suo piede e il piede di tutti i buoni cristiani doveva combaciare con essa. Ogni passeggiata su quella collinetta, perciò, si concludeva per superstizione o per fanatismo religioso, con la prova del piede nella buca.

Poco più in là, la “murgia di Nordacece” con la sua fosca leggenda che le aleggiava attorno. La leggenda aveva come protagonista una donna il cui nome era Leonarda Cece; perciò tutti la chiamavano, anche dopo maritata, “Nardacece”. Era bellissima, la più bella delle donne di Sannicandro. Il marito, brutto e geloso, l’aveva in sospetto e un giorno, propostale una scampagnata, la condusse alla Murgia. Poi, dopo che avevano mangiato e bevuto insieme, proprio sull’orlo del precipizio, finse di volerla abbracciare e le diede uno spintone, facendola scomparire nell’abisso. Secondo un’altra leggenda sarebbe stato un suo ex amante a ucciderla.