LA STORIA DI SAN NICANDRO, LEGGENDE E TRADIZIONI (SECONDA PARTE)

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Ogni paese ha le sue leggende e tradizioni, ma San Nicandro ne ha qualcuna in più. Parecchi studiosi ed esimi storici hanno posto in rilievo questo dato, mettendo in luce una forte religiosità, un ancestrale attaccamento alla natura, una inspiegabile dose di mistero tra i caratteri salienti del sannicandrese. Tanto da far scrivere a una rivista francese che “un vento misterioso soffia su questo paese”. Tra le tradizioni è da annoverare la Fiera d’Ottobre, di cui studiosi locali hanno rintracciato l’atto di nascita risalente al 1942, quando un Decreto Reale, dato a Napoli il 23 marzo, autorizzava il “Comune di Sannicandro in Capitanata a celebrare un’annua fiera nei giorni 16, 17 e 18 di luglio, serbandosi la prescrizione contenuta nella sovrana risoluzione del primo giugno 1826” poi trasferita ad ottobre con ulteriore decreto. Altra tipica tradizione sannicandrese è il Carnevale che non ha l’eguale in tutte le contrade circostanti e forse in tutta l’Italia. Il carnevale sannicandrese. Che un giornale a tiratura nazionale ha classificato al terzo posto, dopo quelli di Rio e di Venezia, per originalità e partecipazione popolare, ha inizio il 17 gennaio (S, Anton’ maschr e son”) e finisce alla domenica successiva al mercoledì delle Ceneri. Nei giorni in cui ricorrono i festeggiamenti dei Santi Antonino, Biagio e Sebastiano è usanza accendere fuochi davanti alle rispettive chiese e nelle vie del paese. Attorno ai fuochi si riuniscono le famiglie delle strade vicine e di dà vita ad una festa che conserva molti connotati delle antiche feste pagane. Alla ricorrenza del primo maggio, in ricordo delle lotte sostenute nei primi anni del secolo e sotto il regime fascista, il popolo si reca in località Monte Vergine, nella immediata periferia del paese (sul cui cucuzzolo, nei giorni dell’era fascista svetteva sempre, il primo maggio, una bandiera) per celebrare la festa del lavoro. Anche se in via di estinzione non è raro incontrare nelle notti calde e insonni delle profumate estati sannicandresi comitive di giovani che, con chitarre, fisarmoniche e, ma sempre più di rado, mandolini, si recano alle abitazioni delle proprie innamorate per porgere una malinconica “serenata”. A cavallo tra tradizione e leggenda possiamo annotare lo spirito aperto e tollerante del sannicandrese. Questo tratto, unito alla sua caratteristica un po’ “misteriosa”, hanno permesso quel singolare fenomeno, studiato do storici di tutto il mondo, che va sotto il nome di “ebrei sannicandresi di razza ariana”. Infatti, per opera di Donato Manduzio, sannicandrese, prima analfabeta e poi accanito lettore della Bibbia, è nato qui un forte nucleo di ebrei che dopo alterne e lunghe vicende, ha ottenuto il permesso di trasferirsi e vivere bella Terra Promessa, Israele. Le leggende sono tante, ne trascriviamo quelle più originali. Alla estrema periferia del paese, una zona selvaggia fino a qualche decennio fa e oggi sconvolta da anonimi condominii, è possibile rintracciare le “prove” di queste due leggende. La prima è legato ad un Santo, Giacomo, a cui era stata dedicata una Chiesa nei paraggi. Si dice che San Giacomo, per sfamare alcuni animali di cui era custode, avesse rubato un po’ di paglia da una vicina stalla. Ma il peso del “maltolto” divenne così gravoso che un piede del Santo si impresse su una pietra della zona: ancora oggi è possibile vedere l’orma di San Giacomo su un macigno del posto. L’altra leggenda forse fa riferimento ad un fatto realmente accaduto: si tratta della “Murgia di Leonarda Ceci”. Si dice che nel secolo scorso vivesse a San Nicandro una donna di incomparabile bellezza. Tutti i sannicandresi erano affascinati dalla maestosa e quieta venustà della donna, rispettandone la discrezione e la delicatezza di sentire. Ma il marito era geloso e temeva che la donna, prima o poi, potesse cedere alla corte di qualche malintenzionato. Un giorno, durante una festa, la condusse con alcuni amici ed amiche non lontano dal posto dell’orma di San Giacomo, in direzione nord. Dirupi stregati e rocce selvagge coronano la zona, battuta, quasi sempre, da un vento misterioso. Qui il marito geloso invitò la donna a godere il meraviglioso panorama che si stendeva ai suoi piedi: il lago di Lesina, l’istmo, il mare, le Isole Tremiti e mentre Leonarda Ceci con passi circospetti si portava verso l’orlo dell’abisso, l’uomo la spinse di sotto, mandandola a sfracellarsi sulle rocce sottostanti. A due chilometri dal paese, poggiato sul fianco della strada che porta a Torre Mileto c’è un enorme macigno, un cubo quasi perfetto, la cui facciata porta i segni di una scrittura enigmatica, la cosiddetta “Pietra Scritta”, pare del 1700. Per la verità qualcuno, era inevitabile, pare sia riuscito a decifrare il senso dello scritto (2Pellegrino, fermati un istante, godi il panorama, lungo il cammino percorso…”) ma noi piace pensare che quei segni restino ancora senza senso, un misterioso rebus, tutto ancora da svelare. Nella chiesa più antica di San Nicandro, quella di San Giorgio, nascosto ai più e sconosciuto agli stessi sannicandresi delle giovani generazioni, c’è il “Pozzo dei desideri”. Chi riesce a tirare da un piccolo pozzo, alimentato da una freschissima e limpida acqua sorgiva, che si trova dietro l’altare, il secchio pieno fino all’orlo, senza far cadere una goccia, vedrà realizzato qualsiasi desiderio. L’ultima leggenda sannicandrese è, strano a dirsi, una corposa realtà. E’ la leggenda legata all’indovino cieco del Gargano che alla periferia nord di San Nicandro, come un moderno Calcante, attira moltitudini di persone provenienti da ogni parte d’Italia e, si dice, anche dall’estero. La gente si accalca alle porte di questo non vedente. “M’chel ‘nta la Terra” che dispensa i suoi oracoli con un eloquio antico e suggestivo, come una Sibilla Cumana, spesso indecifrabile. (domani ultima parte)

Enzo Lordi

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