LA LEGGENDA DI MATILDE DI CANOSSA

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Fin dalle prime origini del Cristianesimo, il pellegrinaggio assunse una grande importanza come manifestazione di fede e di preghiera raggiungendo la massima frequenza e grandiosità durante le Crociate. Quattro luoghi sacri assunsero una importanza primaria secondo il trinomio “Deus, Angelus, Homo”. Il primo di tali luoghi era il sepolcro di Cristo a Gerusalemme, luogo che ricorda Dio. L’Homo era rappresentato dalle tombe degli Apostoli a Roma e a S. Giacomo di Compostela in Galizia. Il luogo dedicato all’Angelo veniva identificato nel Santuario di San Michele Arcangelo nel Gargano.

Questo è stato realizzato in una grotta tra il 492 e il 496 d.C. in seguito a tre apparizioni di San Michele Arcangelo, anche queste accompagnate da fenomeni sismici ricordati nella letteratura scientifica e da uno tsunami. Attorno ad esso sorse la città di Monte Sant’Angelo, all’inizio costituita essenzialmente dagli ospizi che dovevano dare asilo alla folla di pellegrini che qui convenivano. Longobardi e Normanni ebbero profonda venerazione per San Michele; i crociati vi sostavano prima di partire per la Terra Santa. Numerosi i papi (Gelasio I, Leone IX, Urbano II, Alessandro III, Celestino V, ecc.) e i santi (San Tommaso d’Aquino, San Francesco d’Assisi, ecc.) che si recarono in pellegrinaggio al Santuario. Come santo della virtù guerriera e condottiero delle schiere angeliche, San Michele fu venerato anche da sovrani e principi (Ottone III, Enrico II, Enrico III, Guglielmo il Buono, ecc.).

Nel 1089 anche la Grancontessa Matilde di Canossa decise di compiere un pellegrinaggio al santuario di San

Michele compiendo il viaggio via mare. Del viaggio di Matilde di Canossa si trova notizia già in Marcello Cavalieri (1690). Nel capitolo VIII lo storico riporta che la Grancontessa si imbarcò col suo seguito, nel 1089, nel porto di Ravenna per compiere il pellegrinaggio al Santuario garganico.

Dopo una navigazione non certo facile, approdata sulle coste di Lesina, accettò l’ospitalità offertale dal Conte

normanno Petrone impegnato in quella zona con la sua corte in una battuta di caccia. I galanti cavalieri normanni attentarono però alla virtù delle damigelle al seguito della Contessa Matilde tanto da costringerla a reimbarcarsi rapidamente. La Grancontessa Matilde si vendicò dell’affronto subito facendo “assediare il Castello intanto che per vie sotterranee, e canali molti guastatori operarono, che le acque del vicino pantano di dodici miglia di giro corressero senza ritegno ad assorbire chi uscendo fuori di ogni termine diede negli eccessi. Tanto seguì, restarono i carnali pasto dei pesci”.

Alluse a questo fatto l’antico manoscritto della Terra di S. Nicandro con questi versi:

“Amne Procos potuti Lesinae mactare Matildis

Et Veneris lymphas altera lympha necat.

Turba salax didicit comitisse, et linquere castas

Cumque sibi insidias insidiata dedit”.

VOCINO (1930) traduce così questi versi:

“Potè nei gorghi di Lesina abbattere i Proci Matilde

E di Venere l’onda con altra onda placare.

Della Contessa le ancelle lasciava la turba salace

e insidiata cadde dove insidiare voleva”.

(Mastronuzzi G., Sansò P.)