Oggi 14 gennaio 2020, dopo tre anni, ricordo che appena appresa la ferale notizia, nell’impossibilità della mia presenza alle esequie, mi sono precipitato a scrivere queste poche righe in ricordo di questa nostra sorella Arcangela che in questa giornata triste, profondamente triste ci ha lasciato per sempre. È terribile dover dire per sempre quando questo significa angosciosamente mai più. Mai più sentire il suo dottissimo e forbito dialogare in italiano e soprattutto, con la sua caratteristica marcata cadenza paesana, sentire il suo erudito vernacolare, quando a Lei mi rivolgevo per attingere, dal suo sapere, l’occorrente per il mio fabbisogno letterario. Mai più sentirla con il suo vernacolare rivangare, con nostalgia, i tanti ricordi del passato che mi facevano rigurgitare i miei ricordi del breve tempo, oramai tanto lontano, trascorso in questo paese. Mai più le sue sfuriate vernacolari che, come col subito dissiparsi delle piogge marzoline, mi aprivano ad un orizzonte terso che sfociava nella sequela del suo sapere sannicandrese, rigorosamente sannicandrese. Mai più, come spesso mi è accaduto, avere abboccamenti ed interminabili telefonate portate fino allo stremo, basate a discutere sul significato delle singole parole dialettali, sulle bellissime disquisizioni, sull’origine, sull’etimo delle parole, sui modi di dire e sulle mie locuzioni dal significato talvolta incerto e zoppicante, tutte e solo relative a questo paese. Ah, quanto e quanto ne abbiamo parlato e discusso. Ma ora, mai più attingere dalla fonte inesauribile di questa sannicandrese, di questa sannicandrese vera, una sannicandrese come poche, credo, se ne possano oggi trovare ad essa uguale in questo paese, e non una sannicandrese solo perché qui è nata e vissuta, no, era una sannicandrese verace, genuina, senza fronzoli, senza retorica che non sopportava la mia melensità lagnosa nell’esprimermi con parole a volte inconcludenti e spesso errate e che pretendeva, sempre a carattere mai ordinatorio ma sempre perentorio, che cambiassi in termini veritieri, schietti, senza ipocrisia, senza infingimenti, il modo di esprimermi per non far sembrare le frasi talvolta ruvide e grezze.
Lei è stata per me, lasciatemelo dire in tutta coscienza, il baluardo scrupoloso del sapere sannicandrese, l’amante di questa nostra lingua, aspra se vogliamo, che da autorevoli personaggi di questo paese ho sentito a volte disprezzare con l’appellativo di lingua brutta e sguaiata mentre per noi due era dolce e graziata. E vi devo confessare che fu proprio lei ad incitarmi a continuare a che io insistessi nel perseverare a scrivere in questa nostra madre lingua, a continuare sulla strada intrapresa, al contrario della miriade di scrittori che si cimentano nello scrivere nella lingua italiana, per continuare ad amarla e soprattutto si raccomandava di approfondire il nostro vernacolo che non è come molti, troppi pensano sia una stortura dell’italiano, ma è una lingua a sé nel ventaglio immenso dell’eredità lasciataci dai nostri avi retaggio delle lontane occupazioni saracene e normanne. Per scrivere avevo un equipaggiamento formato solo da una grammatica e da un vocabolario, entrambi redatti in dialetto sannicandrese, ma mi mancava ancora qualcosa, mi mancava qualcosa dove poter attingere per potermi esprimere meglio, mi mancava un’enciclopedia e quando ne avevo bisogno a Lei ricorrevo, a Lei che era un’autentica enciclopedia, era, come io sovente la chiamavo, la Treccani sannicandrese con il suo cospicuo sapere del nostro paese. E chiudo questo mio breve intervento che non ha la pretesa di essere un sermone ma solo un piccolo ricordo, un ricordo che Le avrei tributato anche se non fosse stata una mia parente. Ed ora, cara Arcangela, dopo gli innumerevoli colloqui intercorsi e le interminabili telefonate, continua ancora a confabulare nella tua lingua madre con la tanta gente che troverai, perché ci credo, nella dimora eterna dove in questo momento ti trovi.
Emanuele Petrucci