IMMIGRAZIONE, VANTAGGI E SVANTAGGI DI UNA SANATORIA

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Dopo le aperture della ministra Lamorgese, è tornata di attualità l’ipotesi di una regolarizzazione degli immigrati senza permesso di soggiorno. L’idea parte dalla proposta di legge di iniziativa popolare frutto della campagna “Ero straniero”, in discussione in Parlamento, che mira a “superare l’attuale modello di gestione dell’immigrazione in Italia”, eliminando la pratica del “decreto flussi” (peraltro già di fatto molto ridimensionata a partire dal 2011) e introducendo due nuovi meccanismi d’ingresso.

Il primo è il permesso di soggiorno per ricerca di lavoro che, seppur legato all’intermediazione di un soggetto istituzionale quale centro per l’impiego o camera di commercio, consentirebbe ai cittadini stranieri di entrare in Italia in modo regolare anche senza essere già in possesso di un contratto di lavoro, come invece richiede la normativa attuale.

Il secondo strumento prevede che uno “sponsor” (ente pubblico o privato del territorio, come un’associazione, un sindacato, un ente locale) faccia da garante per il cittadino straniero, per esempio attraverso alloggio e sostentamento. Questa pratica è già stata in vigore tra il 1998 e il 2002, abbandonata poi senza una seria valutazione dei risultati. Il principale limite di quell’esperienza, ossia il fatto che lo sponsor poteva essere una persona fisica (per esempio, un parente del richiedente), sembra superato dall’istituzionalizzazione ora prevista.

Se entrambe le proposte appaiono ragionevoli per superare alcune criticità della normativa attuale, rimane il problema degli irregolari già presenti sul territorio.

La proposta di riforma prevede appunto una regolarizzazione, vincolata alla presenza di condizioni che dimostrino l’effettivo radicamento e integrazione nel paese.

Storia delle “sanatorie” all’italiana. Negli ultimi trenta anni la “sanatoria” è stata, assieme al “decreto flussi”, uno degli strumenti principali delle politiche migratorie in Italia.

La prima regolarizzazione è del 1986-1987 e ha riguardato oltre 118 mila irregolari. Successivamente, la legge Martelli (n. 39/1990) prevedeva una sanatoria generalizzata per quanti potevano dimostrare un ingresso prima del 31.12.1989. Dava due anni di tempo ai regolarizzati per trovare una collocazione lavorativa, dopodiché poneva il lavoro come condizione per il rinnovo del permesso di soggiorno. Tra i beneficiari della misura, il 58 per cento veniva dall’Africa.

La regolarizzazione numericamente più significativa è quella del 2002, con circa 650 mila nuovi permessi, il 57 per cento dei quali di provenienza dell’Europa centro-orientale: in particolare Romania (135 mila) e Ucraina (102 mila), quasi equamente divisi tra lavoratori domestici e lavoratori al servizio di imprese.

Le ultime due sanatorie (2009 e 2012) hanno riguardato invece principalmente i lavoratori domestici, con rispettivamente 295 mila e 135 mila beneficiari.

Stima dei possibili beneficiari. Prima di analizzare pro e contro della sanatoria, dobbiamo porci una domanda fondamentale: “quanti sono oggi gli irregolari?”. Sebbene siano “per definizione” persone non censite, la stima più autorevole parla di 570 mila a fine 2018 (Ismu). Molti osservatori ritengono però che il “decreto sicurezza” (legge 132/2018), abolendo il permesso per protezione umanitaria, abbia portato a un aumento significativo degli irregolari, per cui il numero nel 2020 potrebbe arrivare a 670 mila (Dossier Idos 2019).

Bisogna poi considerare come è cambiata l’immigrazione in Italia in questi anni. Innanzitutto, il processo di allargamento Ue ha tolto dalla platea di beneficiari alcuni paesi dell’Est (Romania, Bulgaria, Polonia) che erano tra quelli più interessati dalle sanatorie degli anni Novanta e dei primi Duemila. Negli ultimi anni le comunità storicamente radicate in Italia (Marocco, Albania, Cina) sono stabili o in calo, mentre sono cresciute molto alcune nazionalità dell’Asia meridionale. Infine, gli sbarchi di migranti hanno portato in Italia soprattutto persone di paesi dell’Africa sub-sahariana, di cui molti non hanno ottenuto alcun tipo di protezione (ma sono tuttora nel nostro paese).

Si può dunque ipotizzare che un’eventuale sanatoria potrebbe interessare tre gruppi: Est Europa non Ue (Ucraina, Moldavia, Albania), Asia Meridionale (Bangladesh, India e Sri Lanka) e Africa (Nigeria, Sudan, Eritrea).

Pro e contro della “sanatoria”. Quali sarebbero, dunque, i benefici di un’eventuale sanatoria?

Il primo beneficio sarebbe economico. Ipotizzando (prudenzialmente) una platea di 300 mila beneficiari, si può stimare che questi nuovi lavoratori regolari si collochino in fasce di reddito basse, con un gettito fiscale e contributivo stimabile in 1,2 miliardi di euro l’anno.

Vanno aggiunti i costi forfettari sostenuti per la pratica burocratica. Tenendo conto che nel 2009 il costo era di 500 euro e nel 2012 di mille euro pro-capite, si tratterebbe di 150-300 milioni di euro una tantum.

Il secondo beneficio è di carattere sociale, ed è probabilmente il principale elemento della tesi “a favore”. Molto banalmente, una persona senza permesso è molto più esposta a marginalizzazione e criminalità; una volta regolarizzata, invece, può costruirsi un percorso di integrazione alla luce del sole.

D’altra parte, non si può negare che la “sanatoria” rappresenti una legittimazione di un atto illecito, in qualche modo alimentando la cultura dell’illegalità. In un paese dove la cultura del “condono” è molto radicata, non sarebbe un passo avanti, anzi rischierebbe di alimentare un certo “effetto richiamo”, già osservato da Gian Carlo Blangiardo nel Rapporto Ismu 2007.

Altrettanto vero è, però, che qualcosa va fatto: il ritmo dei rimpatri è drammaticamente basso (circa 5 mila all’anno) e lo “status quo” continua ad alimentare illegalità e devianza. L’importante è non tornare al periodo in cui la sanatoria era il principale strumento di politica migratoria, quando si tamponava il problema (riducendo temporaneamente il numero di irregolari) senza eliminarne le cause strutturali.

Se connessa a una vera riforma dell’immigrazione, la “sanatoria” potrebbe essere un male necessario. (lavoce)

Enrico Di Pasquale e Chiara Tronchin