IL SISTEMA PUBBLICO-PRIVATO ALLA PROVA DEL COVID-19

0
525

Il privato accreditato è parte integrante del sistema sanitario italiano. E ha assunto una rilevanza maggiore con la scelta di contenere la spesa del Ssn. Ora l’epidemia del coronavirus mette alla prova la solidità della collaborazione pubblico-privato

I numeri della riduzione della spesa sanitaria. Del sistema sanitario italiano fanno parte erogatori sia pubblici sia privati. A sua volta, il privato si distingue in accreditato con il Servizio sanitario nazionale (Ssn) e non accreditato. Il primo è parte integrante dell’offerta delle cure garantite dal nostro paese e il suo obiettivo è di essere complementare all’offerta dei servizi sanitari del pubblico in una logica di partnership istituzionale e di condivisione dei valori fondanti il Ssn: universalità, uguaglianza, equità.

Negli ultimi anni le prestazioni sanitarie offerte dal privato accreditato hanno assunto una rilevanza maggiore. Il contenimento della crescita della spesa del Ssn è un presupposto ormai condiviso: tra il 2012 e il 2018, l’aumento è stato del 4 per cento in termini nominali, annullato quindi dalla pur bassa inflazione. Il risultato è un’incidenza della spesa sanitaria pubblica sul Pil del 6,5 per cento in Italia, mentre in Regno Unito e Francia è tra il 7,5 e l’8 per cento.

Il contenimento della spesa ha portato inevitabilmente a una contrazione dell’offerta del Ssn. Nel segmento ospedaliero, tra il 2010 e il 2018, i ricoveri sono diminuiti del 23 per cento, con una discesa ancora più netta, del 42 per cento, dei ricoveri diurni per acuti. La riduzione è stata più netta nelle strutture pubbliche (-17 e -26 per cento) rispetto a quelle private accreditate (-8 e -18 per cento).

Sia gli ospedali pubblici sia quelli privati accreditati sono stati interessati da stringenti misure di austerity: i primi hanno sofferto il blocco del turnover del personale, i secondi il sostanziale congelamento, quando non la riduzione, dei budget loro assegnati per l’erogazione delle prestazioniIl calo di circa 41 mila unità di personale (-6 per cento) delle strutture pubbliche avrebbe minacciato seriamente la garanzia di tutela della salute della collettività garantita dalla nostra Costituzione se, in aggiunta alla capacità straordinaria delle strutture pubbliche di aumentare la produttività di fronte ai continui tagli, non ci fosse stato il sostegno delle strutture private.

La dimensione del privato accreditato. Nel 2018, per erogare prestazioni attraverso il privato accreditato, il Ssn ha speso in media 392 euro per abitante, pari al 20,3 per cento della spesa sanitaria complessiva, un aumento di quasi il 2 per cento rispetto al 2017. Il privato accreditato detiene il 31 per cento del totale dei posti letto ospedalieri, con un trend di leggera crescita. Tuttavia, tra le regioni vi sono grandi differenze.

L’autonomia crescente dei governi regionali nel disegnare i propri assetti istituzionali e organizzativi ha infatti dato luogo a una presenza del privato molto variabile. Si passa da regioni come il Lazio, dove oltre la metà dei posti letto è affidata al privato (51,1 per cento), alla Basilicata dove quelli privati accreditati rappresentano meno del 10 per cento. Sopra la media nazionale vi sono regioni come Campania, Lombardia, Puglia e Sicilia (tutte intorno al 35-40 per cento dell’offerta complessiva), con una dimensione media poco al di sotto dei 120 posti letti. Si tratta però di un settore eterogeneo: in Lombardia e in Lazio si concentrano diverse strutture di grandi dimensioni (con più di 200 posti letti), spesso dotate di pronto soccorso e dipartimenti di emergenza, urgenza e accettazione. Del resto, i due più grandi ospedali di Roma e Milano, Gemelli e San Raffaele, sono privati accreditati dotati di pronto soccorso e integrati con tutte le reti tempo-dipendenti (ictus, infarto, trauma, nascita), che forniscono un contributo significativo nella risposta a bisogni critici e urgenti.

Ci sono specifiche aree di assistenza in cui il contributo del privato accreditato è ancora più rilevante. Si pensi all’area della non-acuzie ospedaliera rispetto alla quale il privato garantisce il 42 per cento dei ricoveri per lungodegenza e il 76 per cento di quelli per riabilitazione. Per quanto riguarda la cronicità, il privato accreditato gestisce il 59 per cento degli ambulatori, l’82 per cento delle strutture residenziali e il 68 per cento di quelle semiresidenziali.

Infine, la ricerca: su 50 Irccs, gli istituti ad alta specializzazione che coniugano attività di ricerca, cura e assistenza, 30 sono privati accreditati. In sintesi: difficile immaginare come il Ssn possa mantenere l’attuale quantità e varietà di prestazioni senza il contributo del privato accreditato, che peraltro crea sul territorio italiano opportunità di lavoro e crescita in un settore ad alto valore aggiunto.

Di fronte all’emergenza si lavora insieme. Quale è il contributo che il privato accreditato ospedaliero può fornire in questi giorni di emergenza-coronavirus? Non tutti i malati hanno necessità di cure ospedaliere, ma rispetto alle epidemie stagionali di influenza, circa 1 persona su 6 con Covid-19 si ammala gravemente e sviluppa difficoltà respiratorie. Secondo i dati della Direzione welfare aggiornati al 5 marzo, in Regione Lombardia si registrano 2.251 casi positivi; l’11 per cento (244) è attualmente in terapia intensiva. Sul piano gestionale, i problemi principali sono due. Da un lato, assicurare la disponibilità di cure intensive, che di norma riguardano persone colpite da infarti, ictus e traumi, oltre a pazienti che hanno subito interventi chirurgici programmati con un particolare impatto sulle funzioni vitali. Dall’altro, è necessario predisporre spazi adatti per i pazienti che necessitano di essere ospedalizzati fuori dai reparti intensivi (ad esempio, in medicina e pneumologia), ma che devono essere debitamente isolati dagli altri degenti.

La maggior parte dei privati accreditati, oltre alla riabilitazione, copre principalmente le discipline chirurgiche programmate; dunque possono apparire come soggetti marginali nel rispondere all’attuale epidemia (figura 1). Esistono però modalità per indirizzare gli sforzi di tutti i soggetti erogatori a tutela della salute collettiva. Dal 24 febbraio la Direzione generale welfare di Regione Lombardia ha chiesto alle 103 strutture lombarde dotate di pronto soccorso, di cui oltre un quarto sono private, di sospendere le attività chirurgiche procrastinabili per accogliere eventuali pazienti con coronavirus. Questo crea certamente disagi ai pazienti in lista operatoria e richiede un notevole sforzo organizzativo anche in molte strutture private. Si tratta però di un passaggio praticamente obbligato, dal momento che il 31 per cento dei quasi 900 posti letto in terapia intensiva della Lombardia (figura 2) è in strutture accreditate. In termini di spazi di degenza per i pazienti meno gravi, possono invece essere adattati anche i posti letto di riabilitazione, soprattutto quelli che già venivano utilizzati per la riabilitazione cardio-polmonare.

I prossimi giorni saranno un banco di prova importante per capire la solidità della partnership pubblico-privato in sanità e la maturità di tutti i soggetti coinvolti. Le prime risposte da parte dell’ospedalità privata in area lombarda sono di collaborazione. Abbiamo un servizio sanitario dalla governance complessa che, in Lombardia ma anche in buona parte d’Italia, regge e dà buoni frutti anche grazie al ruolo complementare del privato. È vero nei giorni di calma, a maggior ragione lo sarà in quelli di tempesta. (lavoce)

Alberto Ricci e Rosanna Tarricone