Nel paese di San Nicandro si accendevano i falò per onorare quattro Santi: S. Antonio Abate, S. Sebastiano, S. Ciro e S. Biagio.
Queste manifestazioni un tempo erano gradite per il loro folclore e per il calore e l’entusiasmo della gente di Sannicandro che si adoperava per rendere gli avvenimenti affascinanti, gioiosi e per infondere allegria e sentimenti di fratellanza.
Intorno ai fuochi si mangiava granoturco e fave abbrustoliti, mentre i ceci venivano fatti alla marinara con bucce di arance, alloro e sale e si cuocevano nella sabbia calda dopo averli scottati su e giù nell’acqua bollente, avvolti in uno straccio, per circa 2 minuti di tempo recitando per due volte il Padre Nostro in latino.
Le serate erano allietate da canti paesani e da stornelli, a volte provocatori, allo scopo di sfottere bonariamente i partecipanti degli altri falò.
Per la buona riuscita degli scherzi la gente si mascherava per non essere riconosciuta così le serate trascorrevano in vere e spensierate competizioni rionali.
I benestanti in quel periodo ammazzavano il maiale e mettevano a disposizione una buona parte della carne che veniva arrostita sulla brace del falò.
Si racconta di forti grugniti che le bestie emettevano, con i musi legati e trattenute da più uomini forzuti.
I nostri antenati nelle serate lunghe invernali, dunque, tenevano uniti i ragazzi intorno al camino o intorno al braciere raccontando favole che parlavano di spirito di sacrificio, educazione, lealtà, bontà … insomma …. vere lezioni di vita impartite con dolcezza ma che entravano nelle nostre ingenue coscienze facendo germogliare il senso del rispetto altrui.
I racconti relativi ai falò e all’uccisione del maiale erano i seguenti:
….. il globo terrestre nel compiere il movimento di rotazione intorno al sole (equinozio invernale), riceve meno luce e calore, diventando così i giorni più corti e l’aria più gelida; in questo periodo la natura cessa di vegetare e allo stesso modo animali e uomini rallentano i propri istinti produttivi. Gli antichi popoli, ogni 31 gennaio, a metà inverno, accendevano enormi fuochi che venivano alimentati fino al giorno delle Ceneri, sacrificando maiali o cinghiali alla dea Terra per tenere caldo il suo cuore e poter conservare i semi utili ai raccolti.
La brace del fuoco veniva portata nelle case per riscaldare e purificare l’abitato, mentre le ceneri venivano sparse nei campi in auspicio del buon raccolto.
Si consumava la carne dei suini fino al giorno precedente alle Ceneri e negli ultimi tre giorni si pronunciava il detto: “vale mangiare carne” da cui si coniò la ricorrenza del “Carnevale”.
Successivamente in onore alla dea Cerere, per 40 giorni, si procedeva a purificare l’anima con digiuni e si pregava affinché gli armenti proliferassero e i raccolti riempissero i magazzini.
I fuochi che si accendevano dal 31 gennaio furono anticipati al giorno della morte dei martiri sopra citati: S. Sebastiano, nobile milanese è morto il 20 gennaio del 304 d. C., lo stesso non morì dopo essere stato trafitto da tantissime frecce sul nudo petto e fu dunque decapitato e il corpo buttato in un precipizio.
Questi ricordi del tempo che fu ci fanno rivedere le strade, le corti e le scalinate del nostro paese come illuminate da una luce speciale e suggestiva che rinvigorisce quei luoghi che sono stati vere e proprie palestre dove apprendere le prime lezioni di vita.
I nostri ragazzi oggi non conoscono queste tradizioni e, pertanto, l’Associazione Amici del Paese intende raccontarle e valorizzarle per rimarcare le origini del territorio e del popolo sannicandrese patrimonio prezioso di tutti noi.
Consapevoli che i promotori che mantengono vive le tradizioni sono dei veri benefattori, chiediamo ai cittadini di Sannicandro di non dimenticare mai le proprie origini e di aiutarci nella valorizzazione delle vecchie tradizioni.
Sannicandro è viva e i giovani sono il futuro, ma senza mai dimenticare il passato perché ogni uomo é la propria storia!!
I’Ass. Amici del Paese