COSA VUOL DIRE EMPATIA

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È un dono, che si acquista nell’infanzia. Ma anche dopo si può fare qualcosa. Tutti i benefici che porta l’empatia

Alle persone empatiche risulta tutto più facile. Creano relazioni laddove i contatti sono difficili e l’interlocutore ha la scorza dura. Risolvono problemi grazie a buoni rapporti con gli altri, e solo per il fatto che riescono a “mettersi nei loro panni” (la sostanza dell’empatia). Tutto sembra facile, ma non è così: l’empatia, che si impara solo nei primi anni di vita, deriva da due parole greche, en, che significa dentro, e pathos, che evoca sofferenza e inquietudine. Dunque è un sentimento attivo, che ha bisogno di essere messo in moto, anche con qualche piccolo sforzo, rompendo il muro della paura degli altri.

Rischiamo di avere sempre più paura dell’altro. Un tempo esistevano solo preoccupazioni da vite ordinarie, da una naturale forma di sospetto sulle intenzioni altrui (può farmi del male? che cosa vuole veramente da me?) a un più radicale rigetto della relazione. Adesso dobbiamo fare i conti anche con la diffidenza sanitaria, arrivata con l’onda lunga del coronavirus e destinata a durare a lungo nel tempo nei nostri stili di vita. A meno che, con uno sguardo meno fragile e con l’esercizio del buonsenso, non ci sforziamo comunque, anche in tempi di pandemia, di scoprire le qualità dell’empatia, e come grazie a questo elisir della vita lieve, le nostre relazioni fanno comunque un salto di qualità.

Provare empatia significa avere la capacità di immedesimarci in un’altra persona, nei suoi pensieri, nei suoi stati d’animo, in ciò che la rende infelice. È un sentimento che penetra nelle pieghe dell’intimità dell’altro, ne percepisce l’ansia dal tono di voce, l’irritazione dalla velocità dei gesti, l’incertezza da uno sguardo. Purtroppo la pandemia ha raffreddato la spinta propulsiva dell’empatia, rendendola sempre più complessa e difficile, anche per le paure del contagio e per i nostri stili di vita improntati a un altalenante isolamento. La diffidenza sanitaria è percepibile ovunque. Quando entriamo al supermercato, passeggiando per strada, al momento di incontrare qualcuno. Il bombardamento sull’infezione e sul suo andamento ha modificato la nostra percezione dei rapporti umani, e anche un cautissimo contatto fisico è considerato oggetto di rischio, alto rischio. Da qui una strisciante regressione nella solitudine, nella distanza e nel distacco dagli altri. Senza affetti reali.

Quando una persona è empatica

Una persona empatica la riconosci subito. Da alcuni segnali che se tracciano la personalità e l’approccio con gli altri. È solare, positiva, sa ascoltare, non si parla addosso e non si ferma alla prima impressione dell’altra persona. Riesca ad andare oltre la superficialità di un rapporto umano, afferra con delicatezza emozioni e stati d’animo degli altri. Riconosce la differenza tra la superficialità e la leggerezza. Non ha paura di stare sola con sé stessa quando è necessario, anzi: è un modo per riuscire a stare meglio con gli altri. Vista attraverso queste caratteristiche, l’empatia è un dono, ma non. È escluso che si possa imparare nel corso della vita.

Trattandosi di una dote naturale, l’empatia si acquisisce nella prima infanzia. Dopo può essere troppo tardi. Già pochi mesi dopo la nascita, i neonati reagiscono al dolore di un altro bambino sentendolo come se fosse il proprio. Piangono, per esempio, all’apparire delle sue lacrime, e cercano di consolarlo anche solo con uno sguardo. L’empatia è frutto di educazione dell’infanzia, e una volta acquisita può alimentarsi a scuola, nei rapporti personali, e nell’ambiente di lavoro.

Come si diventa empatici

Per migliorare la qualità della nostra vita e avere rapporti personali positivi e stimolanti esiste un “segreto” e si chiama empatia. Un ingrediente talmente importante nella quotidianità che può essere perfino determinante nel darci quella capacità, oggi, nell’era della fretta e del “tutto e subito”, non sempre riconosciuta, di sapere ascoltare gli altri. Di essere sintonizzati. E non chiusi in noi stessi, nel nostro narcisismo, in un ego fine a sé stesso, con il rischio di avvitarci nella solitudine. Ascoltare per comunicare, per avere e dare attenzione, per cercare, almeno ogni tanto, di immedesimarci nelle vite degli altri che possono essere lo specchio della nostra.

Valore dell’empatia

Un libro molto particolare, intitolato appunto Empatia (Terra Nuova Edizioni) e scritto da Jean-Philippe Faure, insegnante, e Céline Girardet, psicoterapeuta, ci porta, come in una breve avventura esistenziale, lungo i percorsi, i misteri e le scoperte dell’empatia. Ci aiuta a coglierne il valore, il senso, il significato. La forza di qualcosa che può dare felicità e benessere agli altri, a noi, e dunque alla vita di tutti. Anche attraverso piccoli esercizi di vita quotidiana. Ne cito uno per tutti, perché mi ha colpito in questo libro: lasciarci sorprendere da qualcosa e da qualcuno che ascoltiamo quando, magari correndo, siamo per strada, in un autobus, in una metropolitana. O, questo lo aggiungo io, quando al bar ci servono un caffè e allo stesso tempo il barista ha voglia di farci un raccolto. Ecco, piccoli gesti che, come una chiave magica, ci introducono nel mondo delle meraviglie dell’empatia, dal primo momento di un primo contatto umano.

La prima impressione è quella che conta. Magari non sarà proprio così, ma certo il primo contatto reale, umano, è quello che può segnare tutto il percorso dei nostri rapporti sia professionali sia di amicizia. Una ricerca realizzata dall’Harvard Business School, e condotta da un team guidato dalla psicologa Amy Cuddy, ha indagato con molto rigore scientifico sui meccanismi che scattano tra gli individui quando si incontrano la prima volta. E la cosa che più mi ha sorpreso è l’importanza dei gesti, degli sguardi, degli atteggiamenti. Molto più delle parole. Pensate: in una conversazione, al primo approccio, il contenuto del nostro discorso incide appena per il 7 per cento, per il restante 93 per cento pesano gesti, espressione del viso, tono della voce.

Tutto si gioca, dunque, sull’espressività. E forse per conquistare l’empatia al primo colpo dobbiamo imparare dalla naturalezza dei bambini. Osservateli quando sono piccoli, e scoprite che sono sempre attratti da un volto sorridente, da qualcuno che riesce trasmettere il potente messaggio «Sto bene con te». Dunque, la sfumatura di un sorriso, di uno sguardo, di un attimo di calore, è decisiva per conquistare l’empatia dell’interlocutore.

Ma attenzione a non esagerare. Chi ostenta dal primo momento sorrisi, battute, e perfino un eccesso di vitalità, comunica l’ansia di piacere a tutti i costi. Che può avere l’effetto opposto, e metterci nella condizione di non essere considerati sinceri e quindi poco accettati. O accettati con molte riserve.

Molti, semplificando, confondono l’empatia con la bontà oppure con l’altruismo. Non è così. Anche persone crudeli e cattive sanno immedesimarsi nei panni degli altri, condividerne gli stati d’animo, e anzi l’empatia li aiuta nei loro perfidi obiettivi. L’empatia può anche essere mossa da buone intenzioni, ma portare a risultati catastrofici: ha bisogno di essere abbinata a lucidità, ragionevolezza, con il valore aggiunto di quello sguardo che non ci rende indifferenti nei confronti degli altri.

Per essere autentici nel nostro atteggiamento empatico bisogna fare leva su un fattore determinante: il coraggio. Un triplo coraggio. L’apertura attraverso le porte dell’empatia è una scelta senza condizioni, senza l’attesa delle contropartite, e quindi contrasta in modo naturale con la diffidenza che ci trasciniamo dietro nei confronti degli altri. L’altro, chiunque sia, può farci paura, e metterci  a distanza da un atteggiamento naturalmente empatico. Poi c’è l’abitudine e regolare i rapporti umani, anche i più intimi, quelli che più dovrebbero essere carichi di affetto, con la forza. E l’empatia è una scelta che esclude l’uso, peggio ancora: l’abuso, della forza, anche questa è una scelta di coraggio. Per essere empatici l’io, il super io del narcisismo, va sgonfiato, cosa non facile. Di solito si tende a coltivare il proprio io ipertrofico mostrandosi “simpatici”, di quella simpatia artefatta che non ha nulla da spartire con la naturalezza dell’empatia. E anche piegare il narcisismo all’empatia è un gesto di coraggio. Quel coraggio che, come diceva don Abbondio, “uno se non ce l’ha, mica se lo può dare”.

Chi non prova empatia

Ci sono diverse gradazioni per segnalare il perimetro nel quale vivono le persone che non provano empatia. Ci sono uomini e donne freddi, distaccati, indifferenti. Cinici. Poco interessati, anche geneticamente, agli altri: la loro vita si consuma attorno al proprio ombelico, centro dell’universo. Poi ci sono quelli che hanno paura, e non gettano mai il cuore oltre l’ostacolo, hanno sempre un motivo per resistere e non lasciarsi andare alla scoperta dell’altro e al viaggio nella sua intimità. E ancora, le persone malate, con una patologia grave, difficile da curare se non attraverso gli strumenti della psicanalisi e della psicoterapia: gli psicopatici. Possono anche apparire brillanti, loquaci e ridanciani: ma se andate oltre l’apparenza, vi accorgete facilmente che non provano sentimenti. (nonsprecare)