CORONAVIRUS, ANCHE L’ECONOMIA SI AMMALA

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Il virus è arrivato in Italia. Giovedì 20 febbraio sono stati individuati i primi casi di diffusione del coronavirus in Italia. Il primo italiano a essere risultato positivo, un trentottenne residente in provincia di Lodi, ha aperto il vaso di Pandora. Subito dopo, infatti, analisi approfondite da parte dell’autorità sanitaria hanno individuato decine di altri infetti, soprattutto tra Lombardia e Veneto.

In breve tempo l’Italia è diventata il primo paese non asiatico per numero di contagi, terzo al mondo dietro a Cina e Corea del Sud. Il governo ha imposto la quarantena su dieci comuni del Lodigiano e su Vo’ Euganeo, in provincia di Padova, i due focolai da cui il virus si è trasmesso nel paese. In Lombardia si sono anche prese altre misure precauzionali, come la chiusura di scuole e università, dei locali a partire dalle 18, dei cinema e dei teatri. E in generale è prevista la cancellazione di tutte le attività aggregative. Molte aziende hanno invitato i propri dipendenti a non recarsi in ufficio e a lavorare in smartworking, se possibile.

Nei giorni precedenti era stato imposto il blocco aereo dei voli da e verso la Cina, un intervento unico rispetto agli altri paesi europei. Questa scelta, che sembrerebbe particolarmente radicale e quindi molto efficace, non è stata però accompagnata da massicci controlli delle persone che pur provenendo dal paese asiatico lo hanno fatto, per esempio, attraverso un volo con scalo. Persone che dunque sono state in grado di entrare nel nostro paese senza alcun tipo di monitoraggio sanitario. Non è stato ancora identificato il cosiddetto “paziente zero”, cioè l’individuo che avrebbe contratto per primo il virus all’estero, portandolo poi in Italia.

I settori più colpiti. Dopo un weekend nel quale la diffusione del virus in Italia è diventata certezza, le borse hanno riaperto registrando risultati molto negativi, con il Ftse Mib che nella giornata di lunedì 24 febbraio è arrivato a toccare il -6 per cento, per poi chiudere a -5,43. Milano è stata la peggiore d’Europa, ma ci sono state perdite importanti anche nelle altre borse europee. Il panico da coronavirus ha colpito anche lo spread Btp-Bund, che è aumentato di oltre 10 punti fino ad arrivare a 145 punti base. In tutto questo profondo rosso, l’oro, il bene rifugio per eccellenza, ha raggiunto i massimi degli ultimi sette anni per poi chiudere a 1.675 dollari l’oncia.

Sarebbe azzardato provare già a quantificare l’impatto economico delle misure precauzionali imposte dal governo a Lombardia e Veneto, tra le regioni italiane più produttive, ma possiamo iniziare a pensare ad alcune tendenze.

Il danno economico per l’Italia riguarderà sicuramente due aspetti cruciali: il turismo e il settore produttivo. I cinesi rappresentano una quota importante delle presenza turistiche in Italia, con quasi 300 mila arrivi nel 2014 e più di 450 mila attesi nel 2020, un numero che ora è destinato a crollare proprio a causa del coronavirus. Ci sarà sicuramente una perdita notevole, basti vedere il pernottamento medio dei cinesi rispetto ai turisti di altre nazionalità (figura 2). E, cinesi a parte, è verosimile attendersi una flessione complessiva dei flussi turistici verso l’Italia.

Guardando agli andamenti di borsa possiamo provare a capire quali sono i settori più a rischio: vi rientrano sicuramente auto, lusso e viaggi.

Per le quattro ruote, ci sono problemi sia dal lato della domanda che dell’offerta: è inevitabile che il settore dell’automotive risenta del calo della domanda dei mercati cinesi così come è inevitabile che le chiusure forzate degli stabilimenti in Cina danneggino le filiere produttive delle case automobilistiche. Quanto al lusso, a parte le conseguenze più ovvie legate a ritardi nelle forniture e al calo della domanda, potranno arrivare danni dovuti alla cancellazione di fiere e sfilate, oltre che alla mancata presenza dei buyer cinesi, tradizionalmente tra i più attivi.

L’impatto globale della crisi si nota anche dall’andamento delle principali compagnie aeree: il valore dei

Il ruolo della Cina. Per quanto riguarda il settore produttivo, la Cina ha acquisito una rilevanza strategica fondamentale nella produzione industriale dei principali paesi avanzati, soprattutto grazie alla condivisione internazionale delle catene del valore (global value chain). Quando l’economia venne colpita dall’epidemia di Sars nel 2003, la Cina, pur avendo già intrapreso il sentiero di una prodigiosa crescita, aveva un Pil otto volte inferiore rispetto a quello attuale ed era molto meno integrata con il resto del mondo. È quindi ragionevole pensare che, dopo 17 anni, le conseguenze del coronavirus saranno ben superiori. Anche gli effetti sul resto del mondo saranno particolarmente pesanti e si sommeranno alla generale stagnazione che ha caratterizzato l’economia globale nel 2019. I primi segnali del rallentamento mondiale si possono intravedere dalle reazioni di molte delle big tech americane, che fanno riferimento a migliaia di imprese cinesi, come Foxconn, per la produzione di componenti per i dispositivi elettronici. Quasi tutte le grandi società tecnologiche hanno annunciato un calo dei ricavi nel breve periodo a causa dell’emergenza sanitaria cinese.

In conclusione, non si può ancora determinare con chiarezza quale sarà l’effetto del coronavirus sull’economia italiana, europea e mondiale, così come non esistono ancora dati precisi sul crollo e l’eventuale recupero di quella cinese. Una parte delle reazioni degli ultimi giorni, come la corsa ai supermercati, è sicuramente dettata dall’isteria generale, ma ci sono importanti segmenti produttivi che stanno pagando cara l’incertezza che aleggia da mesi sul commercio e sui consumi internazionali. Una cosa è certa: questa epidemia conferma il ruolo della Cina come potenza economica, i cui drammi e le cui fortune possono rendere grandi o affossare le imprese di tutto il mondo. (lavoce)

Mariasole Lisciandro e Massimo Taddei