5 MARZO 2018: L’AGENDA DEL PRESIDENTE MATTARELLA

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Manca meno di una settimana alle elezioni politiche che daranno vita alla XVIII legislatura. Naturalmente non si può ancora dire se sarà una legislatura lunga oppure breve, comunque già nella notte tra il 4 e il 5 marzo alcune prime indicazioni si potranno trarre. Su queste informazioni meramente elettorali e su altre considerazioni più politiche si baseranno le importanti scelte che a partire dal 5 marzo dovrà prendere il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Cerchiamo di capire quali.

La Costituzione è piuttosto parca di indicazioni, e anche per questo alcuni iter si devono più alle consuetudini che alla normativa. Tuttavia, i pochi commi sono molto precisi e vincolanti. Innanzitutto, il Presidente della Repubblica ha il compito di fissare la prima riunione delle Camere (art. 87 comma 3 Costituzione), che comunque si dovrà tenere “non oltre il ventesimo giorno dalle elezioni” (art. 61 comma 1). Al compito, per la verità, Mattarella ha già adempiuto quando il giorno delle elezioni è stato fissato al 4 marzo 2018 (Dpr 209/2017): Camera e Senato si riuniranno per la prima volta venerdì 23 marzo. Nel corso della prima seduta, deputati e senatori dovranno eleggere i loro presidenti, con modalità e procedure definite dai rispettivi regolamenti. Nel dettaglio, “l’elezione del presidente [della Camera, Nda] ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza dei due terzi dei componenti la Camera. Dal secondo scrutinio è richiesta la maggioranza dei due terzi dei voti computando tra i voti anche le schede bianche. Dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta dei voti” (art. 4 comma 2 del Regolamento della Camera). Analogamente, “il Senato procede alla elezione del presidente con votazione a scrutinio segreto. È eletto chi raggiunge la maggioranza assoluta dei voti dei componenti del Senato. Qualora non si raggiunga questa maggioranza neanche con un secondo scrutinio, si procede, nel giorno successivo, ad una terza votazione nella quale è sufficiente la maggioranza assoluta dei voti dei presenti, computando tra i voti anche le schede bianche. Qualora nella terza votazione nessuno abbia riportato detta maggioranza, il Senato procede nello stesso giorno al ballottaggio fra i due candidati che hanno ottenuto nel precedente scrutinio il maggior numero di voti e viene proclamato eletto quello che consegue la maggioranza, anche se relativa. A parità di voti è eletto o entra in ballottaggio il più anziano di età” (art. 4 del Regolamento del Senato).

Si dovranno poi costituire i gruppi parlamentari, con vincoli numerici minimi definiti (20 deputati e 10 senatori), salvo possibili eccezioni, specificate sempre nei regolamenti. L’elezione dei presidenti delle Camere sarà un passaggio politico molto importante per il Presidente della Repubblica, per capire quali maggioranze potranno formarsi nei due rami del parlamento e soprattutto se potranno essere coerenti (cioè identiche o perlomeno simili tra Camera e Senato) e se potenzialmente adatte a esprimere un voto di fiducia a un governo.

Nella Costituzione si trovano molte meno informazioni riguardo al ruolo che il Presidente avrà nella formazione del nuovo governo. Se, da un lato, è indiscutibile che “il Presidente della Repubblica nomina il presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri” (art. 92 comma 2), dall’altro lato, rimane totalmente non normato il procedimento che porta alla nomina (a parte qualche piccolo dettaglio contenuto nella legge 400/1988). Nel tempo si sono quindi sviluppate le cosiddette “prassi”, che nella fattispecie consistono nelle “consultazioni” e negli “incarichi a formare il governo”. Una volta formati i gruppi parlamentari e nominati i presidenti delle Camere, il Presidente della Repubblica svolge consultazioni ascoltando i presidenti dei gruppi parlamentari, i segretari dei partiti rappresentati in questi gruppi, i presidenti delle Camere e gli ex Presidenti della Repubblica. In questo modo, può avere un’idea più precisa – e confidenziale – dell’orientamento dei gruppi rispetto alla formazione di un governo, nonché ricevere indicazioni su eventuali personalità ritenute accettabili per la sua guida. Sulla base delle consultazioni, il Presidente può affidare un (pre) incarico a formare il governo a chi ha evidentemente maggiori possibilità di realizzarlo con successo. L’incarico termina con una relazione dell’incaricato al Presidente e nello scioglimento della riserva: la restituzione dell’incarico stesso o l’accettazione a formare il governo. Una volta formato il governo, “il presidente del Consiglio dei ministri e i ministri, prima di assumere le funzioni, prestano giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica” (art 93 comma 1) ed entro dieci giorni, gli stessi si presentano alle Camere per il necessario voto di fiducia.

Il risultato delle elezioni del 4 marzo determinerà la lunghezza, ma soprattutto la laboriosità e la delicatezza di questi importanti compiti. Nel 2013, un primo incarico a Pier Luigi Bersani fallì, mentre ebbe successo il successivo tentativo di Enrico Letta.

È molto probabile che dalle urne esca un parlamento in cui nessuno avrà la maggioranza assoluta, la coalizione con più voti alle elezioni sarà formata dai partiti più piccoli, il partito più votato difficilmente troverà alleati (se mai sia disposto a cercarne) e in più il presidente del Consiglio in carica non è esplicitamente sponsorizzato dal suo partito. Forse, davvero in pochi vorrebbero essere nei panni di Sergio Mattarella. Forza, Presidente.

Paolo Balduzzi

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