4 MARZO, I DATI COMUNALI PER CAPIRE CHI HA VOTATO CHI

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Nell’attesa che la commissione incaricata di studiare i programmi ci spieghi che i partiti erano d’accordo sulle cose da fare già da prima delle elezioni, sembra utile riconsiderare l’effetto del contesto socio-economico sul voto del 4 marzo, alla luce dei dati comunali (definitivi) divulgati dal ministero dell’Interno. I dati comunali mostrano, anzitutto, una forte relazione negativa tra successo del Movimento 5 stelle e successo della Lega, non riconducibile solo alla differente capacità di penetrazione dei due partiti nelle diverse aree del paese: la situazione rimane la stessa anche se si guarda al solo Nord. Ciò suggerisce che le due forze si configurano, almeno in parte, come opzioni sostitutive (non complementari). Opposta è la relazione tra consenso ottenuto dal M5s e dal Pd al Nord, la qual cosa sembra suggerire che queste due forze pescano gli elettori nello stesso mare.

Quanto contano reddito e istruzione

L’analisi statistica suggerisce ulteriori spunti di riflessione. La variabile dipendente è data alternativamente dal consenso a favore di un partito tra M5s, Lega e Pd. I risultati più rilevanti sono i seguenti.

1) Il tasso di occupazione spiega in parte il consenso verso Lega e M5s: quando cresce, aumenta il consenso per la Lega se si considera l’Italia nel suo complesso; si riduce, se l’attenzione è limitata al Nord. Se ci si concentra sul solo Settentrione, il consenso della Lega – così come quello del M5s, e non solo al Nord – diminuisce con il crescere dell’occupazione.

2) Quando peggiorano gli indicatori relativi al grado di istruzione (percentuale della popolazione analfabeta ovvero mancante di diploma di scuola secondaria o di titolo universitario) aumenta il consenso per il M5s, si riduce invece quello a favore della Lega. La quota di titoli universitari esercita un effetto, positivo, solo nel caso del Pd.

3) Il livello del reddito pro-capite ha un effetto negativo sia sulla Lega che sul M5s: nel complesso i nostri risultati sembrano smentire l’opinione diffusa secondo la quale al crescere del reddito e dell’occupazione cresce il consenso per la Lega. Se si considera il solo Nord, avviene esattamente il contrario. Il consenso ottenuto da M5s e Lega al Nord diminuisce anche con il crescere della percentuale di popolazione che dichiara un reddito ai fini Irpef, mentre per il Pd, se si considera l’Italia nel suo complesso, questa relazione ha il segno opposto.

4) Quando aumenta la quota di reddito da pensioni aumenta in modo coerente il consenso per il Pd, mentre si riduce quello per la Lega se si concentra l’attenzione sul solo Nord; il consenso del M5s si riduce sempre al crescere della quota di reddito da pensioni. Ancora al Nord, la frequenza del lavoro autonomo ha lo stesso tipo di effetto (positivo) sul consenso sia di M5s e Lega che del Pd.

5) Le variabili distributive (quota dei contribuenti con un reddito inferiore ai 10 mila euro) risultano avere un’influenza rilevante. Nel caso del Pd, il consenso aumenta con la quota di popolazione che dichiara un reddito superiore ai 75 mila euro e si riduce se cresce la proporzione di chi dichiara un reddito inferiore ai 10 mila. Era da attendersi l’opposto per un partito di ispirazione socialdemocratica;

6) Al crescere della popolazione che dichiara un reddito ai fini fiscali, si riduce sia il consenso per la Lega che quello per il M5s. Ciò sembra indicare che con troppa disinvoltura si è cercato di stabilire un nesso tra consenso e promesse elettorali relative all’introduzione del reddito di cittadinanza (più desiderato nei contesti in cui più bassa è la quota di contribuenti) o alla flat tax (che sta a cuore a chi avrebbe più da guadagnare da un alleggerimento della pressione fiscale).

Sergio Beraldo, Giovanni Esposito e Chiara Scarfato