Continua una nuova serie di articoli che parlano sui modi di dire e degli aforismi locali per capire e analizzare la quo ed offrire una visione chiara, lucida e trasparente della condizione umana in cui ognuno di noi può legittimamente dedurre o trarre da ciascuno di essi le considerazioni che gli sembrano più ovvie in riferimento ai tempi, alle usanze, ai problemi, ai comportamenti e agli altalenanti rivolgimenti che la società sta attualmente vivendo. Gli articoli sono tratti dal libro “Voci di Capitanata” di Donato D’Amico.
Il detto di oggi è: “Figghj d’ iaddina raspa n’terra”, cioè “Chi nasce gallina è destinato a razzolare”.
Ancora oggi è d’uso corrente la frase idiomatica riportata. Se si riceve un’offesa o un affronto o uno sgarbo, solitamente si ripete all’indirizzo del nostro incauto interlocutore il vecchio adagio, che vale anche e chiudere definitivamente il discorso con una persona che con i suoi modi scorretti e inurbani ha dimostrato di avere nei nostri confronti scarsa sensibilità, poco rispetto e totale mancanza di sentimento civico. Ora, se la sensibilità umana. Sia nel rapporto con l’uomo che nei confronti dei valori che hanno determinato il progresso e la civiltà del genere umano, dovesse costituire sempre il parametro di riferimento delle nostre azioni, allora il mondo sarebbe tutto una bruttura, visto che si sta speculando persino sui cadaveri, spesso utilizzati come cavie per le prove ad ostacoli delle macchine. Certo, noi non pretendiamo sensibilità e rettitudine ad ogni costo, ma il buon senso, sì, quello non dovrebbe mai mancare, perché il buon senso non è altro che la facoltà che l’uomo ha di operare e giudicare correttamente, cioè, con onestà di intenti e di propositi.
E tuttavia, stenta a farsi strada un siffatto comportamento, non tanto per via di una carente scolarizzazione quanto a causa di una società la cui operatività è finalizzata esclusivamente al personale benessere economico, perseguito a volte con tanta pervicace avidità da far temere persino sulla liceità dei mezzi utilizzati oltre che sulle attività svolte. Ove poi pensiamo che la stessa società è oggi pervasa da tante forze anonime che agiscono nel controsenso dei valori della morigeratezza dei costumi e dell’onestà intellettuale, oltre che dei principi della onorabilità personale, è persino azzardato pensare di recuperare, a breve, una condizione di vivibilità più a misura d’uomo.
Comunque, non possiamo fare di tutte le erbe un fascio. Nelle piccole comunità, dove tutti si conoscono e vivono una ricorrente e comune quotidianità, probabilmente la parola offensiva, la frase sconveniente, l’azione riprovevole e l’affronto diretto non sono particolarmente usuali. Evidentemente, il rapporto giornaliero con l’altro e una certa aspirazione a non apparire diverso da chi si comporta meglio di noi impediscono talune incivili e grossolane manifestazioni di carattere; queste sono sicuramente appannaggio di gruppi o comunità dominati da uno sfrenato interesse all’accumulazione di profitti, alla quale è possibile far risalire storicamente la causa dell’abbruttimento dell’animo umano.
Per amore di precisazione, è bene specificare che la “mediocrità”, ovvero le modeste e insignificanti condizioni di vita denunciate dalla tesi popolare, investe non tanto l’aspetto economico della persona quanto il suo comportamento civile e sociale, che, oggi, viene quasi sempre subordinato all’interesse economico. Infatti, nella predominante concezione utilitaristica della vita, l’interesse economico costituisce l’unica o la principale finalità che l’uomo persegue, spesso anche con ostinato accanimento. Il fatto di aver subordinato l’etica comportamentale, che richiama i valori universali della vita, al gretto interesse personale costituisce di per sé una perdita incalcolabile di vivibilità e di gradevolezza sociali, talché diventa quasi impossibile pensare di poter recuperare la dimensione umana prima che siano trascorse (come afferma qualche sociologo, almeno un paio di generazioni.