Sulla collina del cimitero dormiva il suo eterno sonno lo “zio Emanuele” a cui qualcuno aveva dato il soprannome di “Sansone” e anche di “Ercole”. Emanuele Fioritto aveva avuto, infatti, fama incontrastata dell’uomo più forte del paese
Mia madre me ne parlava come raccontandomi una meravigliosa favola: ricordandomi le leggendarie gesta di Sansone (il leone strangolato, la strage dei mille filistei con una mascella di asino e l’altra strage provocata dalle macerie delle colonne del tempio da lui scrollate) e le gesta meno mitiche ma altrettanto sorprendenti, scommesse e beffe clamorose dello zio Emanuele.
Una volta, per una sfida, in una farmacia, sollevò con i denti il pesante marmo del bancone dello speziale; un’altra volta, per punire una guardia, che lo aveva disturbato durante una serenata, lo legò con una fune e lo calò come un salame appeso in un pozzo, facendogli toccare l’acqua e lo riportò all’aperto solo dopo disperate invocazioni di perdono dal fondo.
Ma, mentre Sansone era crudelissimo, lo zio Emanuele aveva un cuore tenerissimo come dimostrò quando, morta la moglie, andava a trascorrere lunghe ore del giorno e della notte per varie settimane, al cimitero, sulla tomba di lei e poi quando, per tutta la vita, in sua memoria non si rase la barba. E crebbe così lunga, folta, nera barba che ancor più ne lo faceva rassomigliare a Sansone, forte ed invincibile per la sua capigliatura.