Il gruppo FB, nato poco meno di tre mesi fa come “Gruppo privato”.
“Il Gruppo di opinione, che mira a sensibilizzare l’opinione pubblica e i nostri decisori politici e detentori di centri di influenza ad intraprendere iniziative concrete per liberare la lingua italiana dalla ingiustificata preponderanza di termini ed espressioni anglofone che, di fatto, ne indeboliscono l’identità e le luci nette della sua storia e cultura.
È forse giunto il momento che l’Italia cominci a pensare ad una diversa attenzione nei confronti di una lingua, l’inglese, che non crediamo meriti tanta sottomissione e subalternità, né sul piano storico-culturale né sul piano politico-sociale.
La lenta e inesorabile invasione della nostra lingua, nei settori dello sport, dell’istruzione, della formazione e dell’educazione, ma anche nella vita politica e amministrativa, come in tutti gli affari quotidiani, con l’introduzione quasi sempre ingiustificata di termini, acronimi e sincrasi varie, che tendono a cancellare ingiustificatamente i più originali, funzionali e intellegibili corrispondenti significati italiani, non trova alcuna giustificazione culturale.
Siamo perfettamente consapevoli che la lingua è un fenomeno in continua evoluzione, e per certi versi inarrestabile, ma quello che non troviamo giusto e corretto è l’assoggettamento, più o meno consapevole, a quella che può essere definita come una inaccettabile forma di colonialismo”.
Queste le dichiarazioni dell’Amministratore del Gruppo del prof. Giuseppe De Cato
Fra le motivazioni più comuni, l’arricchimento culturale, esigenze di studio e di lavoro o semplicemente per amore, per ragioni affettive e di cuore.
La lingua italiana gode di una generale simpatia: è la lingua di Dante; la lingua del bel canto, della lirica; la lingua dell’arte e della cultura; una lingua musicale; una lingua che è sinonimo di qualità e di stile, nel campo della moda, della cucina, delle automobili; una lingua espressione di un popolo creativo, simpatico, caloroso.
Parlare italiano significa essere in possesso di una risorsa per crescere, dal punto di vista umano, culturale, professionale.
“Vorrei che l’italiano si sostituisse al francese in tutte le scuole del nostro paese, perché quella sì che è una lingua ricca di vera poesia e di fascino, forse più adatta della nostra a soddisfare i gusti delle signore” – scriveva il giovane poeta romantico inglese John Keats (Lettera a Fanny Keats – 10 settembre 1817)
“Sì, caro signore, per me non c’è dubbio che gli angeli nel cielo parlano italiano. Impossibile immaginare che queste beate creature si servano di una lingua meno musicale” – Sono le parole del protagonista delle “Confessioni del cavaliere d’industria Felix Krull” dello scrittore e saggista Thomas Mann (Premio Nobel nel 1929).
E allora? Crediamo proprio la lenta e inesorabile “invasione” della nostra lingua, nei settori dello sport, dell’istruzione, della formazione e dell’educazione, ma anche nella vita politica e amministrativa, come in tutti gli affari quotidiani, con l’introduzione quasi sempre ingiustificata di anglicismi che tendono a sostituirsi ai più originali, funzionali e intellegibili corrispondenti significati italiani, non trovi alcuna giustificazione né sul piano storico-culturale né sul piano politico-sociale.
Utilizzare, senza che vi sia una vera necessità, termini stranieri per rappresentare una situazione o un evento, configura un volontario atto di sottomissione della nostra lingua e, di conseguenza alla nazione che quella lingua esprime. A volte si ha addirittura l’impressione che attraverso l’inglese si voglia far apparire una cosa, un prodotto, un evento più importante di quello che effettivamente è (comportamenti ai quali non è estraneo il mondo dell’imprenditoria, della produzione e della pubblicità), oppure che si voglia “indorare” la pillola, quasi a limitare la capacità delle persone di capire, di porsi delle domande, di riflettere su quello che appare come un termine tecnico, “azzeccato”, e che invece è solo un modo per confondere e aiutare a non capire.