QUANTO CONTA L’EMPATIA NELLA VITA

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Crea relazioni che durano. Aiuta a risolvere e anticipare i conflitti. Attenua le insidie quotidiane del narcisismo. Ed empatici non solo si nasce, ma si può anche diventare

L’empatia, che qualcuno confonde con la simpatia, magari per una banale assonanza fonetica, non è difficile da identificare e circoscrivere: è la capacità di comprendere l’altro, di sentirsi dalla sua parte, anche senza essere necessariamente d’accordo, di allungare lo sguardo rispetto all’ ingombrante, proprio ombelico. E qui le cose possono diventare più complicate, visto che siamo troppo stretti nell’imbuto di vite che regoliamo con l’orologio del presentismo (tutto ora e subito, tutto di fretta, tutto con un livello di attenzione inferiore a quello dei pesci rossi) e con una tendenza, ben oliata dall’uso compulsivo delle protesi tecnologiche, ad avere sempre un’ottima opinione di se stessi, a essere concentrati solo sul piccolo (neanche antico, ma ingessato) mondo che gira tutto attorno all’Io, e alla sua versione gemellare, l’Ego. ovvero il campo minato del narcisismoe dell’indifferenza, due umanissime debolezze che rischiano però di sciupare le nostre vite, di depotenziarle e renderle sterili , se non anche piuttosto noiose.

In compenso, una volta afferrata, l’empatia, è una miniera di doni naturali, che, al contrario della sua assenza, porta la luce, l’energia, e un’appassionante “gioia di vivere”. Alle persone empatiche risulta tutto più facile: creano relazioni anche laddove i contatti sono difficili e l’interlocutore ha la scorza dura. Risolvono problemi e conflitti (fino ad anticiparli prima che si manifestano) grazie a buoni rapporti con gli altri, e solo per il fatto che riescono a “mettersi nei loro panni”. Ma l’empatia, nella sua ricchezza, produce anche degli effetti collaterali. ci spinge a coltivare il dubbio, a non sentirci onniscienti, e dunque stupidamente arroganti; a non giudicare gli altri con tanta facilità, e con il tono della insegnante severo, di scuola elementare o anche di liceo; ad ascoltare prima di parlare e  di parlarsi addosso. A non guardare il mondo e le vite degli altri con gli occhiali bifocali del bianco e nero.

Il valore dell’empatia

Un tempo esistevano solo preoccupazioni da vite ordinarie, da una naturale forma di sospetto sulle intenzioni altrui (può farmi del male? che cosa vuole veramente da me?) a un più radicale rigetto della relazione. Adesso facciamo davvero fatica anche solo a vedere l’Altro, prima di cercarlo. E l’Altro è sinonimo di Tutti: è la persona con la quale condividiamo una parte importante della vita; può essere l’amico, con il suo livello di intimità; il parente simpatico, che vediamo con piacere, a differenza dello zio o della suocera che ci annoiano e rientrano nella categoria degli “scocciatori”. Ma l’Altro è anche chi è distante da noi, chi soffre a una latitudine fisica e mentale troppo lontana per essere intercettata se non impugniamo la torcia dell’empatia.

Come si diventa empatici

L’empatia deriva da due parole greche: en, che significa dentro, e pathos, che evoca sofferenza e inquietudine. Dunque è un sentimento attivo, che ha bisogno di essere messo in moto, anche con qualche piccolo sforzo, rompendo il muro della paura degli altri.

Una persona empatica la riconosci subito. Da alcuni segnali che se tracciano la personalità e l’approccio con gli altri. È solare, positiva, sa ascoltare, non si parla addosso e non si ferma alla prima impressione dell’altra persona. Riesce ad andare oltre la superficialità di un rapporto umano, afferra con delicatezza emozioni e stati d’animo degli altri. Riconosce la differenza tra superficialità e la leggerezza. Non ha paura di stare sola con sé stessa quando è necessario, anzi: è un modo per riuscire a stare meglio con gli altri. Vista attraverso queste caratteristiche, l’empatia è un dono quasi naturale, o soprannaturale, ma si può anche, ecco la cosa importante, da non sprecare, acquisire nel corso della vita. Sì: empatici qualche volta si nasce, ma sempre si può diventare.

In quanto dote naturale, l’empatia si può conquistare molto presto, tra il primo e il secondo anno di vita: un primo livello di empatia arriva quando un bambino inizia a piangere ascoltando un suo coetaneo in lacrime. Poi, durante l’infanzia si può diventare empatici grazie all’insegnamento di alcune figure di riferimento, come i genitori e gli insegnanti a scuola. Ma l’empatia, secondo recenti ricerche scientifiche, si può imparare anche in età avanzata e non esiste un “gene dell’empatia”. E chi sono i potenziali maestri di empatia in età adulta? Innanzitutto gli amici e in generale le persone alle quali vogliamo bene e di cui ci fidiamo; i compagni di lavoro; le persone che hanno un carisma e una personalità tali da indurre all’imitazione. Così si può diventare empatici semplicemente osservando gli altri, quelli che lo sono già prima di noi.

La lezione dei bambini

Per conquistare la bussola dell’empatia forse dobbiamo imparare dalla naturalezza dei bambini. Osservateli quando sono piccoli, e scoprite che sono sempre attratti da un volto sorridente, da qualcuno che riesce trasmettere un potente messaggio, semplice, forte e chiaro: «Sto bene con te». Dunque, la sfumatura di un sorriso, di uno sguardo, di un attimo di calore, è decisiva per conquistare l’empatia dell’interlocutore.

Ma attenzione a non esagerare. Chi ostenta dal primo momento sorrisi, battute, e perfino un eccesso di vitalità, comunica l’ansia di piacere a tutti i costi. Che può avere l’effetto opposto, e metterci nella condizione di non essere considerati sinceri e quindi poco accettati. O accettati con molte riserve.

L’empatia non è l’altruismo

Molti, semplificando, confondono l’empatia con la bontà oppure con l’altruismo. Non è così. Anche persone crudeli e cattive sanno immedesimarsi nei panni degli altri, condividerne gli stati d’animo, e anzi l’empatia li aiuta nei loro perfidi obiettivi. L’empatia può anche essere mossa da buone intenzioni, ma portare a risultati catastrofici: ha bisogno di essere abbinata a lucidità, ragionevolezza, con il valore aggiunto di quello sguardo che non ci rende indifferenti nei confronti degli altri.

Per essere autentici nel nostro atteggiamento empatico bisogna fare leva su un fattore determinante: il coraggio. Un triplo coraggio. L’apertura attraverso le porte dell’empatia è una scelta senza condizioni, senza l’attesa delle contropartite, e quindi contrasta in modo naturale con la diffidenza che ci trasciniamo dietro nei confronti degli altri. L’altro, chiunque sia, può farci paura, e metterci  a distanza da un atteggiamento naturalmente empatico. Poi c’è l’abitudine e regolare i rapporti umani, anche i più intimi, quelli che più dovrebbero essere carichi di affetto, con la forza. E l’empatia è una scelta che esclude l’uso, peggio ancora: l’abuso, della forza, anche questa è una scelta di coraggio. Per essere empatici l’io, il super io del narcisismo, va sgonfiato, cosa non facile. Di solito si tende a coltivare il proprio io ipertrofico mostrandosi “simpatici”, di quella simpatia artefatta che non ha nulla da spartire con la naturalezza dell’empatia. E anche piegare il narcisismo all’empatia è un gesto di coraggio. Quel coraggio che, come diceva don Abbondio, “uno se non ce l’ha, mica se lo può dare”.

Chi non riesce a provare empatia

Ci sono diverse gradazioni per segnalare il perimetro nel quale vivono le persone che non provano empatia. Ci sono uomini e donne freddi, distaccati, indifferenti. Cinici. Poco interessati, anche geneticamente, agli altri: la loro vita si consuma attorno al proprio ombelico, centro dell’universo. Poi ci sono quelli che hanno paura, e non gettano mai il cuore oltre l’ostacolo, hanno sempre un motivo per resistere e non lasciarsi andare alla scoperta dell’altro e al viaggio nella sua intimità. E ancora, le persone malate, con una patologia grave, difficile da curare se non attraverso gli strumenti della psicanalisi e della psicoterapia: gli psicopatici. Possono anche apparire brillanti, loquaci e ridanciani: ma se andate oltre l’apparenza, vi accorgete facilmente che non provano sentimenti. (nonsprecare)