SAN NICANDRO: “IL BUE DIC’ CH’RNUT ALL’ASIN’”

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Continua una nuova serie di articoli che parlano sui modi di dire e degli aforismi locali per capire e analizzare la quo ed offrire una visione chiara, lucida e trasparente della condizione umana in cui ognuno di noi può legittimamente dedurre o trarre da ciascuno di essi le considerazioni che gli sembrano più ovvie in riferimento ai tempi, alle usanze, ai problemi, ai comportamenti e agli altalenanti rivolgimenti che la società sta attualmente vivendo. Gli articoli sono tratti dal libro “Voci di Capitanata” di Donato D’Amico.

Il detto di oggi è: “Il bue dic’ ch’rnut’ all’asin’”, cioè “Il bue dice cornuto all’asino”.

Sarà per un impulso irrefrenabile, sarà una inconscia difesa di sè, sarà soltanto una intuizione di ciò che l‘altro pensa di noi, ma sta il fatto che molte persone attribuiscono ad altre persone i propri difetti, trascurando del tutto la gravità delle affermazioni espresse. Anticipando interventi verbali di un certo tenore, queste persone pensano di interdire al loro interlocutore la possibilità e la facoltà di essere, a loro volta, apostrofate con gli stessi epiteti. Praticamente l’uomo attribuisce gratuitamente agli altri i propri difetti, pensando di liberarsi, così, da una condizione di inferiorità socio culturale che lo mortifica e lo condiziona. È una istintiva forma di autodifesa tanto inventa quanto sprovveduta, perché essa non fa che ricordare all’interlocutore la possibilità di affrontare un eventuale confronto scontro con gli stessi termini di cui è stato oggetto.

La difesa e l’autodifesa sono certamente consentite e augurabili in regime democratico i cui pilastri sono costituiti dai doveri e dai diritti, dalla libertà e dalla giustizia. Ma cioè che anticamente non era auspicabile che avvenisse era il potere di attribuisci la licenza di addossare ad altri le proprie responsabilità o, comunque, di accollare a qualcuno le proprie imperfezioni o mancanze, tanto in senso laterale che morale. Probabilmente nei tempi antichi la bugia era limitata all’ingenuo espediente o al piccolo sotterfugio, forse era anche motivata da condizioni di carattere psicologico o soltanto da ragioni di riservatezza. Oggi la solfa è cambiata. Un certo abuso di libertà, una malcelata disinvoltura è una eccessiva intemperanza, forse derivanti da un più diffuso senso di sfiducia nella società e di disapprovazione di quanto sta avvenendo a livello di istituzioni pubbliche e non connotano un po’ il comportamento delle persone le quali non hanno remora alcuna e non si pongono scrupoli di sorta nel riversare su altri colpe e violazioni di ogni genere o nell‘affibbiare ad altri insulti diffamanti e calunniosi.

Sorge, allora, la necessità di scegliere oculatamente le nostre amicizie, di non scendere a compromessi con nessuno, di non cedere a lusinghe di alcun genere e con chi sia, di conservarsi “pulito” se non vogliamo essere oggetto di ammiccamenti, se non vogliamo essere duramente apostrofati per colpe non commesse. Se amicizia vuol dire stima, simpatia ed affetto; se la compromissione e il cedimento non rientrano nel nostro stile di vita; se la dirittura morale deve essere lo specchio della nostra anima, allora non corriera la disavventura di porre in discussione i valori in cui vediamo. Facciamo ciò che dobbiamo, perché la grandezza dell‘uomo è il dovere.

Allora comportiamoci sempre in modo corretto: non temiano la maldicenza e la denigrazione. Non dimentichiamoci che il ciarlatano finisce sempre per subire il danno architettato dal proprio artificio. D‘altronde, che cosa può o deve temere una persona onesta?

Le bugie sono come le cattive azioni: alla fine, si scoprono e si ritorcono se per su chi mente, cioè, su chi le ha inventate e snocciolate. Non potrà esserci mai timore alcuno per chi si comporta in maniera degna e irreprensibile, perché la giustizia, prima, e la storia, dopo, finiscono sempre per soppesare adeguatamente il valore di ciascuno di noi.