(carrellata di alcuni detti, che spesso citiamo senza sapere il perché)
U VÓV’ DIC’ A CIUCCE CH’RNUT’
(Il bue dice all’asino cornuto)
Sentir dire “Il bue dice cornuto al toro” non avrebbe senso. La frase corretta è “il bue dice cornuto all’asino”, ossia qualcuno che rimprovera altri di un difetto che in realtà ha lui al massimo grado. L’espressione nasce dal fatto ovvio che il bue ha le corna e l’asino no. È come dire predichi bene e razzoli male. Cioè critichi gli altri e poi sei tu il primo che sbaglia!!… Chi non ha mai pronunciato il modo di dire “Il bue che dice cornuto all’asino”? Quando si vuole mettere in evidenzia un difetto altrui, tralasciando che il primo a possederlo è proprio chi lo vuole sottolineare nell’altro, è d’uopo chiarire con questa frase così tanto famosa della nostra lingua italiana.
QUANDO TRE ACCENDONO UNA SIGARETTA L’ULTIMO MUORE
Si tratta di una superstizione risalente alla guerra del 1915-18 quando i “cecchini” austriaci puntavano i loro fucili a cannocchiale per sparare vigliaccamente a tradimento sui nostri soldati ignari di essere presi di mira. Di notte questi fucili venivano puntati su qualsiasi luce si accendesse, ma non sarebbe stato facile puntare, sparare e colpire alla luce di un fiammifero che si accendeva per fumare una sigaretta. Però essendovi penuria di fiammiferi, era abitudine fra i soldati di accendere con un solo fiammifero quante più sigarette possibile. Per rispetto il primo ad accendere era il più anziano, poi un altro soldato meno anziano ed infine l’ultimo, il più giovane. In questo modo il “cecchino” nel vedere la fiammella imbracciava immediatamente il fucile e, dopo il secondo passaggio, lo puntava sul terzo che facendo fuoco l’andava a colpire con sicurezza. Così era sempre il più giovane a perire allorché si accendeva la sigaretta in tre persone con lo stesso fiammifero. In questo modo è perito qualche nostro soldato paesano, uno dei quali di mia conoscenza, nella prima guerra mondiale.