CENTO GIORNI SENZA FAR NIENTE PER L’ECONOMIA SONO TROPPI

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Il Governo del Cambiamento ha fatto passare i suoi primi cento giorni impegnando gli italiani in giochini estivi. Il primo riguarda l’auspicato tramonto dell’euro, cioè di una valuta che per ora pare godere di buona salute, a giudicare dall’accoglienza che le è stata riservata nei suoi primi quasi vent’anni di vita dai mercati finanziari. Molto popolare sui “social” e nel mondo politico Lega-M5s anche l’idea che l’Italia dovesse rompere o rivoltare come calzini regole europee che per essere modificate richiedono il consenso di tutti i paesi. E poi c’è stato il cosiddetto “decreto Dignità”, foriero di effetti negativi o comunque marginali per coloro la cui dignità doveva essere salvaguardata.

Intanto l’economia italiana rallentava verso una possibile recessione. L’indice Pmi di Markit – il riassunto più affidabile delle opinioni informate dei manager degli acquisti in merito a ciò che succederà all’economia –  segnala un netto rallentamento dell’attività economica in atto già dai primi mesi dell’anno. Infatti il settore manifatturiero – quello più direttamente correlata con il ciclo economico – aveva raggiunto un valore massimo nel mese di gennaio 2018. Da allora è iniziata una rapida discesa dell’indice che ha sfiorato il valore soglia di 50 nel mese di agosto, al di sotto del quale si prevede che l’economia entri in recessione nei tre mesi successivi.

Il rischio della recessione. L’indice Pmi di Markit di solito azzecca la previsione di quello che sta per succedere. Sarà un caso ma la produzione industriale di luglio è andata proprio male, mostrando il primo calo su base annua dal giugno 2016.  Nei sette mesi del 2018, l’indice della produzione industriale (dato destagionalizzato e corretto per gli effetti di calendario) è calato già quattro volte rispetto ai mesi immediatamente precedenti. Nel 2017 era calato solo due volte in tutto l’anno. L’industria non va bene.

In questo periodo, intanto, il governo non ha combinato nulla di concreto per l’economia, per i cittadini e per le imprese. Niente, neanche un provvedimento economico minimale in favore del popolo di cui il primo ministro Conte si era auto-proclamato avvocato difensore. Eppure almeno il sottosegretario leghista all’Economia Massimo Garavaglia per parte sua aveva provato a spendersi e ad auspicare l’approvazione prima dell’estate della riforma fiscale per le piccole imprese e società di persone, cioè l’ampliamento del regime forfettario di tassazione (una tassa sostitutiva unica del 15 per cento per microimprese e professionisti con ricavi tra i 25 e 50 mila euro) a una platea più ampia di imprese.  “Mi auguro di potere fare qualcosa prima di agosto in tema di pace fiscale e qualcosa per allargare i sistemi forfettari per imprese con fatturati ridotti, per far crescere nuove partite Iva, piccole e medie imprese, artigiani e commercianti”. L’auspicio era quello di avere un provvedimento “entro fine agosto”. E invece niente.

Di pace fiscale – con opinioni diverse tra i ministri sul gettito atteso da tale misura: il ministro dell’Economia Giovanni Tria si aspetta 3 miliardi, il ministro dell’Interno e vice-premier Matteo Salvini se ne aspetta 20 – e di riforma fiscale per le piccole aziende si parlerà nella legge di bilancio. Dati i vincoli di bilancio potrebbe peraltro essere l’unico antipasto della grande riforma fiscale che era stata una bandiera vincente della campagna elettorale della Lega, specialmente se il M5s insisterà a includere il costoso reddito di cittadinanza nella manovra. Chissà forse il piano – diabolico – del governo è proprio quello di lasciare che l’economia cada in recessione per chiedere con maggiore forza quella flessibilità fiscale che dai banchi dell’opposizione era stata severamente criticata.

Di fronte a questi scenari in rapido peggioramento, è invece urgente una pragmatica inversione di tendenza e che il governo annunci una strategia per ridare fiducia agli investitori e per rassicurare sull’orizzonte dei prossimi mesi gli italiani che devono decidere se spendere serenamente i loro soldi o aprire l’ombrello per ripararsi dalla prossima crisi finanziaria.

Francesco Daveri