Vincitori e vinti. Dal 23 al 26 maggio si sono tenute, negli stati Ue, le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo. Il loro esito era già stato in larga parte previsto nella maggior parte dei paesi, Italia compresa. Per quanto ci riguarda, non si prevedono necessariamente scossoni nel governo, ma almeno una rinegoziazione dei punti o delle priorità del contratto di coalizione tra Lega e Movimento 5 stelle sì. Più a rischio, appare invece la nostra capacità di influenzare il dibattito europeo.
L’esito delle elezioni europee non ha dunque suscitato grandi sorprese. Certo, spiccano l’affermazione dei Verdi in molti paesi (tranne che in Italia) e l’exploit dei partiti cosiddetti populisti in Francia e in Italia. In generale, i sovranisti si rinforzano, ma restano in minoranza. La maggioranza resta saldamente nelle mani dei partiti europeisti (Partito popolare e Alleanza dei socialisti e democratici), che però hanno bisogno di coalizzarsi con altri gruppi. I liberali di Alde e gli stessi ambientalisti sembrano i partner più probabili. Netta l’affermazione di Nigel Farage in Gran Bretagna ma questo, paradossalmente, indebolisce il fronte sovranista: se o quando il Regno Unito uscirà dall’Unione europea, molti dei seggi dei sovranisti inglesi (e degli altri partiti pro Brexit) saranno redistribuiti ai partiti europei che hanno avuto più voti. Quindi, a parte qualche eccezione, come l’Italia, i seggi finiranno per lo più proprio nelle mani delle forze europeiste. A loro volta, queste ultime dovranno cercare nei prossimi cinque anni di non ignorare le istanze rappresentate dai sovranisti e di non cadere nella trappola di una “dittatura della maggioranza”: il rischio è che i sovranisti arrivino più forti alla prossima tornata elettorale e che continuino, nel quinquennio, a diventare sempre più influenti nei propri paesi.
In aumento l’affluenza: anche in questo caso, tuttavia, l’Italia risulta in controtendenza, con una percentuale di partecipazione in discesa dal 59 al 56 per cento. Soprattutto per l’alto numero di seggi ottenuti dalla Lega, nel nuovo Parlamento europeo l’Italia rischia di rimanere in posizione defilata, se non addirittura isolata. Sarà cruciale capire quali cariche otterrà il nostro paese all’interno delle istituzioni europee e con che tipo di atteggiamento si presenterà di fronte alla nuova Commissione. Le prime dichiarazioni di Matteo Salvini sulla rinegoziazione degli obiettivi di deficit non sembrano promettere nulla di buono. Anche sul fronte di eventuali nuovi aumenti dello spread.
La grande contraddizione. In Italia ottengono rappresentanza, cioè superano la soglia del 4 per cento, Lega (34 per cento), Partito democratico (23 per cento), Movimento 5 Stelle (17 per cento), Forza Italia (9 per cento) e Fratelli d’Italia (6 per cento), che si divideranno anche i tre seggi a disposizione del nostro paese dopo l’uscita della Gran Bretagna.
Si invertono i rapporti di forza elettorale nella maggioranza di governo anche se, naturalmente, i rapporti di forza all’interno del Parlamento italiano restano immutati. Non ci si aspettano necessariamente grandi ripercussioni sulla tenuta del governo: i partiti che formano il governo ottengono comunque oltre il 50 per cento dei consensi. Probabile tuttavia che venga ridiscusso se non il contratto almeno l’ordine delle priorità. Certo la tentazione per Salvini di incassare al più presto il dividendo nazionale del consenso per il suo partito sembra molto alta: anche in coalizione col centrodestra, la probabilità di ottenere la maggioranza dei seggi è elevata. Tuttavia, eventuali nuove elezioni nazionali dovranno passare da una crisi di governo in cui il ruolo del Presidente della Repubblica sarà centrale e volto a verificare innanzitutto l’esistenza di possibili maggioranze alternative, per un governo politico o per uno tecnico.
Paradossalmente, comunque, un risultato del genere pone diverse difficoltà alla stessa Lega. Il partito viene votato in tutto il paese, con punte al Nord di oltre il 40 per cento; ma è il più votato anche al Centro (33 per cento) e pure al Sud supera il 20 per cento. Perché mentre al Sud la Lega viene percepita come partito nazionale e assistenziale, al Nord continua a essere vista come partito territoriale e orientato a difendere gli interessi delle regioni più ricche e degli imprenditori medio-piccoli. Il che ovviamente apre una serie di tensioni interne, legate soprattutto a quei leader locali, come Luca Zaia, che intorno all’autonomia differenziata hanno ormai costruito la propria politica. Come conciliare la richiesta di maggiori fondi per le regioni del Nord con le richieste del Sud? Quanto a lungo potrà durare, in altri termini, questa contraddizione, prima che il qualcuno tenti la secessione (dal partito stesso)? (lavoce)
Paolo Balduzzi