VINCENZO VERRINI

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“Ho già detto che tra i palazzi del «Piano» si distingueva quello della famiglia De Pilla per varie pregevoli decorazioni dovute al pittore Vincenzo Verrini che in paese veniva chiamato il «pitturicchio». Il diminutivo – è evidente – aveva un tono dispregiativo dovuto alla ignoranza di certi idioti che li portava a non avere in alcuna considerazione gli artisti. Capitava spesso che, passando il Verrini per le vie del paese la ragazzaglia gli sparasse alle spalle, per dileggio, quel nomignolo. Ma quando Alfredo Petrucci, ragazzo anche lui, nel quale già germinava, però, la passione per l’arte, vide alcuni ritratti da lui eseguiti in povertà e alcune nature morte fatte per poche lire, per poter campare, reagiva nella fanciullesca presunzione di potergli rendere giustizia, ribattezzandolo pomposamente – con la semplice sostituzione di una « n » al posto di una « t » –  «il Pinturicchio».            

Vincenzo Verrini, che nella sua scia trascinò un fratello, bravo anche lui, (tra l’altro si attribuisce a un Verrini – evidentemente era un altro – un famoso ritratto di Lucrezia Borgia), aveva molto lavorato, e sempre con successo, specie come pittore decoratore, a Napoli, a Foggia, e poi si era ritirato nella sua Sannicandro, ove, in vecchiaia, la sua piccola figura caratteristica la si vedeva passare per le vie, avvolta in un pipistrello, su cui la barba tizianesca «si spenzolava e tremava come se andasse in cerca di un appoggio». Ed era, si diceva, anche un bel tipo di burlone, stravagante come un artista bohemien.  Molto successo ebbero le decorazioni che, con arioso stile alla Luca Giordano, per molti anni attirarono l’ammirazione dei viaggiatori in sosta nella stazione di Foggia: l’unica cosa di vero pregio artistico di quella stazione dalle vaste campate metalliche, che i bombardamenti aerei dovevano poi radere al suolo. A Sannicandro, le sue cose più belle erano state eseguite, dunque, sulle pareti e sulle volte del palazzo De Pilla, purtroppo, sempre chiuso, perché il proprietario risiedeva a Napoli. E se a qualcuno riusciva di forzare la porta, gli sembrava di entrare in un palazzo incantato, tanta era la gioia di colori che gli si offriva agli occhi, specialmente col soffitto del salotto (in anticamera dominava una parete un affresco con la scalinata della «Costa»). Nella Chiesa del Convento si ammirava di lui una Madonna di ispirazione marittima, in casa Milena una natura morta di lepri; nel Castello una veduta di Torre Maletta; e poi, sparsi un po’ dappertutto, o dimenticati nella sua casa, nature morte e ritratti a non finire. Per i putti ho già detto che il Pinturicchio s’era preso a modello Vincenzino Fioritto figlio dello zio Emanuele, il «Sansone» del Paese.”

È questo il passo tratto dal volume “SANNICANDRO – ALBA NOVECENTO – Roma 1973” scritto da Silvio Petrucci che parla di Vincenzo Verrini che è stato uno dei maggiori pittori della San Nicandro del 1800. Delle opere di questo pittore oggi ci rimane poco o niente, così quando si riesce ad avere fra le mani un suo dipinto si esulta, si grida eureka come ha fatto Archimede che, dopo aver trovato la formula sulla legge idrostatica uscì nudo dalla vasca da bagno e scorrazzando nudo per le vie di Siracusa andava gridando, a perdifiato, eureka, eureka dalla gioia per il ritrovamento fatto. Così anche io oggi, qual novello Archimede, grido eureka dopo aver fatto l’eccezionale scoperta di un gioiello del Verrini, a distanza del tanto tempo passato, che suscita in me meraviglia e stupore per essere venuto a conoscenza di un’opera sì importante. E io, pertanto, fra i ritratti a non finire del Verrini, come dice Silvio Petrucci, che una sua opera sono riuscito a rintracciare, non vedo l’ora di vederla pubblicata in un mio futuro scritto per immortalarla, come le tante e tante cose riguardanti San Nicandro che ho immortalato per sempre, al contrario di questa odierna pubblicazione che, come tutte quelle pubblicate in internet, durano meno dello spazio di un mattino.

Emanuele Petrucci

Ritratto del pittore Vincenzo Verrini raffigurante l’elegante signora Arcangela Vocino moglie del medico Pasquale Gabriele, anche lui citato nel volume “Alba novecento”