REDDITO DELLE DONNE: SEMPRE UN PASSO INDIETRO AGLI UOMINI

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La distribuzione diseguale dei redditi. Il Bilancio di genere 2020, pubblicato a gennaio 2022 dalla Ragioneria generale dello stato, è un importante strumento per fare il punto sulla posizione delle donne italiane nell’economia e nella società e su come le politiche pubbliche influenzano i divari di genere. La pubblicazione del documento rientra nella strategia di gender mainstreaming, adottata anche a livello europeo, che ha l’obiettivo di garantire che tutte le politiche siano attuate nel rispetto della parità di genere.

Che ci siano differenze nei salari orari e nei redditi di lavoro tra uomini e donne è noto. Meno note sono le differenze di reddito complessivo e come queste cambino al variare del reddito della famiglia. Il reddito complessivo è una misura più ampia delle differenze economiche tra uomini e donne, rispetto al solo reddito di lavoro. Vedere come la disuguaglianza tra uomini e donne cambi in relazione al reddito della famiglia, ci consente di individuare dove le disuguaglianze di genere sono più significative, se tra i nuclei più abbienti o tra quelli con minori risorse

Per le famiglie del secondo decile, per esempio, il reddito medio degli uomini è pari a circa 11 mila euro, mentre quello delle donne non arriva a 6 mila euro. La differenza media nei redditi di uomini e donne in ciascun decile è molto elevata. Il reddito medio delle donne vale tra il 50 e il 70 per cento di quello degli uomini appartenenti allo stesso decile di reddito familiare. In media tra tutti i decili, il reddito delle donne è il 59,5 per cento di quello degli uomini.

I dati confermano dunque che, indipendentemente dal reddito familiare complessivo, le donne hanno redditi largamente inferiori a quelli del partner. Le differenze sono più contenute nel primo decile di reddito, mentre sono molto elevate nell’ultimo decile, dove il reddito medio della donna è il 53,4 per cento di quello degli uomini.

Se dai redditi familiari passiamo a quelli individuali, il quadro non cambia. Le donne rappresentano poco più di un quarto degli individui che si trovano nel top 10 per cento della distribuzione dei redditi, una quota che cala al 23,7 per cento nel top 5 per cento e al 16,2 per l’1 per cento più ricco del paese.

La riduzione della percentuale di donne al crescere dei percentili della distribuzione è un fenomeno che accomuna molti paesi ed è evidenza di un soffitto di cristallo nei redditi. Inoltre, in ciascun percentile, i redditi delle donne rappresentano spesso il limite inferiore della classe, come si nota dalla larghissima differenza tra i redditi medi di uomini e donne appartenenti a ciascuna delle classi considerate.

Gli ostacoli all’ingresso nel mercato del lavoro. Una maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro è una leva per l’aumento dei redditi. Per molte donne, però, iniziare a lavorare potrebbe non essere particolarmente conveniente a causa dell’impatto indiretto del sistema fiscale.

Anche in un sistema di tassazione individuale come quello italiano, esistono disincentivi alla partecipazione per i soggetti che percepiscono un reddito potenzialmente basso.

La Ragioneria generale dello stato, basandosi sulla metodologia Ocse, ha stimato il cosiddetto cuneo fiscale (il totale di imposte e contributi a carico del lavoratore e delle imprese che determinano il reddito netto) in tutti i paesi Ocse per il secondo percettore di reddito in una famiglia con due figli, ipotizzando che il reddito del secondo percettore sia pari a due terzi di quello del principale lavoratore nel nucleo. Come mostra la Figura 1, che riporta il cuneo fiscale sul secondo percettore in una selezione di paesi tra quelli considerati dall’analisi della Ragioneria, l’Italia si trova al settimo posto tra i paesi Ocse, con un valore pari al 45,8 per cento, otto punti percentuali sopra la media Ocse e con un valore più elevato della maggior parte dei paesi simili considerati, fatta eccezione per Germania e Belgio.

Per iniziare a lavorare guadagnando il 33 per cento in meno del proprio partner, le donne dovrebbero rinunciare in media alla metà della propria retribuzione lorda, tra imposte sul reddito, contributi previdenziali ed eventuale perdita di agevolazioni, come le detrazioni per il coniuge a carico.

La riduzione della disuguaglianza di genere passa anche dal fisco. (lavoce)