REGOLE FISCALI EUROPEE, UNA PROPOSTA DI RIFORMA

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Illusioni italiane. C’è un’impressionante unanimità in Italia sulla necessità di riformare le regole fiscali europee. Per destra o sinistra, vecchi e nuovi media, perfino alte istituzioni dello Stato, questo sembra essere diventato il punto dirimente del nostro rapporto con l’Europa, quasi che i problemi economici italiani fossero davvero una conseguenza delle regole Ue. La cosa è ancora più impressionante perché quelli che in Italia sanno davvero come le regole europee funzionano non sono probabilmente più di qualche centinaio di persone, generalmente tecnici altamente specializzati che lavorano nelle università, nei ministeri o in Banca d’Italia. Viene dunque il sospetto che dietro l’unanimità dei consensi si nasconda la speranza che, una volta riviste le regole, si apra il bengodi della possibilità di una crescita illimitata della spesa pubblica.

Nulla di più illusorio. Dato il livello del debito pubblico italiano, la situazione finanziaria del paese resta comunque fragile e, regole o non regole, l’obiettivo primario della politica di bilancio deve restare una riduzione del rapporto debito su Pil.

Anche se la situazione non finisse con l’esplodere, un rischio sempre latente con un debito così ampio, l’elevata spesa necessaria per finanziarlo impone di mantenere alta la pressione fiscale ed erode altre spese più meritorie, come istruzione o sanità, con conseguenze negative soprattutto sulle fasce più deboli della popolazione. Per nostra fortuna, il livello straordinariamente basso dei tassi di interesse a livello mondiale ed europeo rende oggi più facile il conseguimento di un obiettivo di riduzione del debito. Purché naturalmente si agisca in modo sensato sul piano macro-economico e non si spaventino i potenziali sottoscrittori con ipotesi nefaste di fuoriuscite dall’euro, patrimoniali o iper-inflazione, ipotesi almeno per il momento – e per fortuna – scomparse dall’orizzonte politico.

Ma la riforma è necessaria. Detto questo, le regole fiscali europee richiedono sicuramente di essere riformate. Una ragione è proprio perché sono diventate incomprensibili. Le regole fiscali funzionano se c’è un generale consenso da parte dell’opinione pubblica sulla loro validità e non si può essere d’accordo con quello che non si capisce.

Una seconda ragione, più tecnica, è che il modo in cui alcuni indicatori per il rispetto delle regole sono calcolati, con riferimento ad aggregati di fatto non osservabili e soggetti a un’ampia variabilità (come l’output gap), lascia molto dubbi sulla loro capacità di indirizzare in modo corretto la politica di bilancio, soprattutto in tempi brevi (cioè per la programmazione annuale).

Il terzo motivo è che ci sono alcune evidenze che le regole abbiano finito con il contrastare l’uso della politica fiscale in modo anticiclico e spinto i governi europei a peggiorare la qualità della spesa, tagliando quelle di investimento invece di quelle correnti.

La proposta dell’Efb. Come European Fiscal Board abbiamo avanzato una serie di proposte di riforma che sono state presentate la settimana scorsa prima alla Commissione uscente e poi all’Ecofin, il consiglio dei ministri delle Finanze dell’Unione europea. Le proposte si basano si basano su un rapporto, commissionatoci dal presidente uscente della Commissione Jean-Claude Juncker sull’efficacia del quadro di sorveglianza fiscale in Europa dopo le riforme degli anni 2010-13. Le nostre proposte sono state riportate dalla stampa italiana, non sempre correttamente. Vale la pena allora riprenderle qui in sintesi.

1) Proponiamo una radicale semplificazione del quadro delle regole europee, con un’unica ancora, il debito; e un unico strumento di controllo: la spesa nominale, un aggregato osservabile. Si abolisce dunque il bilancio strutturale e l’avvicinamento all’obiettivo di medio termine come strumenti di controllo di medio periodo.

L’idea è molto semplice e dovrebbe essere comprensibile anche ai meno esperti. Se una famiglia ha debito e vuole ridurlo, deve spendere meno del suo reddito. Allo stesso modo, per ridurre il proprio debito, un paese deve impegnarsi a mantenere sotto controllo l’evoluzione della spesa nominale (al netto di interessi e di spese soggette al ciclo, come i sussidi di disoccupazione) in modo che cresca meno di quanto cresce il reddito potenziale (e di conseguenza le entrate fiscali). Tanto più velocemente vuole ridurre il debito, tanto meno velocemente deve crescere la spesa rispetto al reddito.

2) La regola richiede la stima di un reddito potenziale. Ma per il modo con cui è calcolato (gli ultimi 5 anni e le stime dei successivi 5 anni) è molto più stabile delle stime annuali con cui attualmente si misura l’output gap. La regola della spesa non impone un vincolo alle dimensioni del settore pubblico; incrementi strutturali delle entrate vengono sottratti dalla spesa, per cui un paese può sempre decidere di spendere di più se decide di tassare di più. E, naturalmente, se si riesce a crescere di più, facendo crescere il reddito potenziale, si può anche spendere di più.

3) La programmazione da annuale diventa triennale e un paese può discostarsi dall’obiettivo annuale, purché recuperi la deviazione durante il periodo. Questo offre flessibilità al bilancio, senza ricorrere a estenuanti contrattazioni con la Commissione su variazioni dello “zero virgola”; oltretutto, la programmazione triennale della spesa è in linea con quello che normalmente si fa in sede di approvazione del bilancio nei diversi paesi.

4) La regola introduce automaticamente un elemento anticiclico. Un paese deve impegnarsi solo a mantenere stabile la spesa nominale; se il ciclo è negativo e le entrate crescono meno del previsto, la spesa sostiene il reddito; viceversa nel caso opposto.

5) Per contrastare la tendenza alla riduzione della spesa per investimenti e, più in generale, delle spese a sostegno della crescita, proponiamo l’introduzione di una golden rule limitata, cioè non estesa a tutti gli investimenti, ma solo ai progetti approvati a livello europeo, per esempio nel campo della spesa ambientale e per l’agenda digitale. Le spese relative a questi progetti possono essere sottratte alla spesa nominale.

Tutte le esistenti flessibilità vengono abolite e sostituite da una generale “escape rule” da usare con parsimonia e solo dietro giudizio di un organismo tecnico. Naturalmente, la decisione finale è sempre politica, cioè assegnata a Commissione e Consiglio.

6) Proponiamo di abolire le sanzioni, che sono politicamente difficili da applicare, e di sostituirle con un incentivo, cioè l’accesso a fondi europei condizionato al rispetto delle regole. È già così per alcuni programmi dell’Esm (il Meccanismo europeo di stabilità) e del bilancio europeo; domani potrebbe esserlo per una common fiscal capacity a livello di paesi dell’euro, la cui necessità è da sempre sostenuta con forza dallo European Fiscal Board.

7) Infine, proponiamo l’introduzione di una differenziazione degli obiettivi di debito su Pil tra i diversi paesi euro come risultato di una contrattazione pluriannuale, non dissimile da quella che già avviene in sede di determinazione del bilancio europeo. Sulla base di indicatori di sostenibilità e macroeconomici, a cominciare da quelli utilizzati per la Macroeconomic Imbalance Procedure, i paesi ad alto debito si impegnerebbero a ridurlo, mentre i paesi a basso debito si impegnerebbero a sostenere l’attività economica dell’area spendendo di più. Questo offrirebbe un fondamento a una politica fiscale aggregata a livello europeo. E implicherebbe anche una dinamica diversa tra i diversi paesi. Per esempio, per i paesi ad alto debito, compresa l’Italia, l’attuale regola di 1/20 di aggiustamento all’anno tra la situazione presente e l’obiettivo (che è adesso il 60 per cento del Pil) è non solo troppo onerosa, ma probabilmente non necessaria. L’importante è che il debito si riduca in modo costante rispetto al reddito; la velocità è meno rilevante.

Le nostre sono proposte di un organismo tecnico e sono ovviamente sempre perfettibili; ma sono basate su un’analisi economica accurata dell’esperienza accumulata negli ultimi dieci anni e contengono elementi che dovrebbero soddisfare sia quelli che vorrebbero regole fiscali più rigide sia coloro che le vorrebbero più flessibili. Il dibattito è iniziato. Vedremo. (lavoce)

Massimo Bordignon