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L’AZZARDO NEI CONTI DEL GOVERNO LEGA-M5S

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L’AZZARDO NEI CONTI DEL GOVERNO LEGA-M5S

Come ogni anno, a fine settembre arriva il momento in cui il governo comunica i dati della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza (Nadef, per gli addetti ai lavori). Il che sarebbe ordinaria amministrazione, se non fosse che tali numeri sono spesso il risultato di trattative dell’ultim’ora, cosicché le cifre diffuse ai media escono in anticipo rispetto alla relazione, cioè senza un testo ufficiale da commentare. E così gli analisti e, più di recente, il grande pubblico della politica e dei social network si esercitano a commentare titoli e interviste più che documenti ufficiali. In definitiva, però, i numeri diffusi finora – soprattutto nell’intervista del ministro Giovanni Tria al Sole-24Ore – consentono di dare una valutazione preliminare dei contenuti della Nadef.

Da quel che si sa, il governo intende mantenere il rapporto deficit-Pil al 2,4 per cento nel 2019-2021. Un deficit al 2,4 sembra un dato in netto rialzo rispetto al deficit tendenziale dello 0,9 per cento previsto per il 2019 (e lo è ancora di più sui dati previsti per gli anni successivi, che lasciamo da parte). Non è proprio così. Come ricordato dal ministro Tria nella sua intervista, lo 0,9 previsto per il 2019 era anche il risultato di una crescita 2019 prevista all’1,4 per cento. Ora però, a causa di un rallentamento in atto nel mondo e in Europa, ma in modo più pronunciato in Italia – la crescita attesa per il 2019 non arriva all’1 per cento (è +0,9, esattamente). Il che di per sé, ricorda Tria, porta il deficit tendenziale previsto all’1,2 per cento del Pil. Se poi si considera che il dato tendenziale incorporava 0,8 punti percentuali (12,4 miliardi) per l’entrata in vigore degli aumenti automatici delle imposte indirette, ecco che si arriva a un andamento tendenziale prima della manovra vicino al 2 per cento. Si potrebbe quindi concludere che il 2,4 per cento previsto dal governo per il 2019 si limita ad aggiungere un modesto +0,4 per cento (6,2 miliardi di euro) ai numeri appena citati.

C’è poi da dire che nelle intenzioni del governo il maggiore deficit ha uno scopo: vuole consentire all’economia italiana di accelerare il passo. Non a caso, il ministro dell’Economia cita una crescita dell’1,6 per il 2019 e dell’1,7 per il 2020. In effetti: con una crescita all’1,6 e un’inflazione di poco superiore all’1 per cento, il rapporto debito-Pil potrebbe scendere di un punto percentuale circa – la differenza negativa tra il 2,4 del deficit e il 3,4 del prodotto della crescita del Pil nominale (pari a 2,6) e il rapporto debito-Pil con cui potrebbe chiudersi il 2018, cioè 1,31. È algebra: 2,4 meno 3,4 fa meno 1. Proprio il numero citato da Tria nella sua intervista.

Davvero – si chiedevano dalla balconata di Palazzo Chigi – l’Europa vuole far partire una procedura di infrazione per disavanzo eccessivo per 0,4 punti di Pil? E davvero vuole farlo in presenza di un impegno a far scendere il rapporto debito-Pil di un punto percentuale l’anno?

L’azzardo nei numeri del governo. Questi numeri sono stati probabilmente condivisi dal ministro Tria con i ministri economici della Commissione. Rimane che – dopo il colloquio con Valdis Dombrovskis e Pierre Moscovici – Tria è ritornato a Roma a “lavorare sul bilancio”. I rilievi mossi dalla Commissione agli orientamenti di bilancio del governo Lega-M5s – per quanto non noti – possono essere di due tipi. Il primo è che ci sono impegni assunti dal governo italiano – cioè, dai precedenti governi italiani, “traditori dell’interesse nazionale” – che vincolano l’Italia a proseguire un cammino fatto di deficit gradualmente in calo e di stabilizzazione tendenza del rapporto debito-Pil. Tale orientamento, dice la Commissione, può essere – ed è già stato più volte – diluito nel tempo. Ma non può essere sovvertito come il governo italiano sembra ora voler fare. I patti devono essere rispettati, prima o poi. La flessibilità – a differenza dei diamanti – non è per sempre: lo si diceva già ai tempi del governo Renzi.

C’è poi anche un secondo rilievo che Europa, mercati e – perché no? – cittadini potrebbero sollevare. Lo sfoggio di apparente moderazione nello sforamento degli impegni implicito nei numeri dell’esecutivo (solo 0,4 punti) è in contrasto con le conquiste sbandierate da vari esponenti della maggioranza e in particolare dai rappresentanti nel governo del M5s.

Se, come ha fatto ad esempio la redazione online del Sole-24Ore, si sommano le varie misure (reddito di cittadinanza, 10 miliardi; aliquota di imposta al 15 per cento per 1,5 milioni di partite Iva, 1,5 miliardi; quota 100 (62 anni + 38 di anzianità) per superare la legge Fornero, 6-8 miliardi; risarcimenti ai truffati dalla banche, 1,5 miliardi) si arriva a più di 20 miliardi che potrebbero essere coperti solo per circa 3 miliardi con la cosiddetta “pace fiscale” (un condono per i contribuenti con pendenze con il Fisco). Il ministro dell’Economia allude anche a una “corposa spending review” di cui però non sono noti i dettagli e che in ogni caso – se attuata – attenuerebbe il carattere espansivo della manovra. Per ora insomma, dal conto mancano almeno 17 miliardi, cioè un punto intero di Pil che dovrebbe essere aggiunto al 2 per cento di deficit tendenziale. Senza contare le altre esigenze di bilancio (come spese indifferibili per vari miliardi di euro) che porterebbero il deficit programmatico del governo certamente oltre il 3 per cento. Di questo si preoccupano Europa, mercati e (alcuni) cittadini: che il governo gialloverde la faccia troppo facile e che invece sotto alle sue cifre ci sia un azzardo non raccontato o mal quantificato.

Francesco Daveri